

Riccardo Maritozzi, estroso attaccante romagnolo, fu protagonista di un gesto eclatante quando militava nel Palermo. Nell’anno in cui si divideva tra campo e servizio militare fu protagonista di una fuga dalla caserma. Il tentativo riuscì, ma fu smascherato involontariamente dalla stampa il giorno successivo…
Maritozzi e la leva militare
Tra le maggiori paure a contraddistinguere la gioventù di molti ragazzi fino alla prima metà del Duemila ci fu la tanto famigerata naja. Quel servizio militare di leva obbligatorio che, per anni, aveva costituito un vero e proprio spartiacque tra l’età della gioventù e il tempo di diventare uomini.
A cavallo tra gli anni ’70 e ’80, quando quell’incubo dai colori mimetici era ancora in voga, il centrocampista Riccardo Maritozzi era uno dei protagonisti del Palermo. La squadra rosanero, guidata dall’indimenticato presidente Renzo Barbera, pur militando in Serie B era arrivata a giocarsi la finale di Coppa Italia del 1979. Nella stagione successiva, con il cambio di guida tecnica da Veneranda a Cadè, la formazione veleggiò a lungo nelle zone medio-alte, chiudendo poi al nono posto. Tra i protagonisti figuravano anche i futuri allenatori Fausto Silipo, Ignazio Arcoleo e Gian Piero Gasperini, solo per citare i più noti.
In quella squadra di prim’ordine, come già detto, spiccava il talento del giovane Riccardo Maritozzi. Attaccante classe 1959, arrivò in Sicilia dal Torino, acquisito in comproprietà nell’estate 1978. Fu il campionato 1979-80, però, a mettere in luce la grande potenza fisica e le doti tecniche del calciatore romagnolo. Un campionato di alto livello che gli valse l’interessamento di numerose squadre di A, tra le quali avrà la meglio l’Udinese. Un’annata, però, nella quale l’appena ventunenne Maritozzi, oltre che con gli avversari sul campo, stava anche facendo i conti con le nottate in camerata.
Estro e follia: la fuga dalla caserma
Di stanza a Napoli nella compagnia atleti, per Maritozzi la vita da soldato era ingestibile, specialmente dal punto di vista sportivo. Non riusciva a mandare giù il fatto di allenarsi da solo e raggiungere i propri compagni solo per giocare la domenica. Così, per preparare al meglio la partita casalinga contro il Pisa del 5 aprile 1980, Maritozzi escogitò un diversivo per poter restare vicino ai suoi compagni.
All’indomani della partita persa per 2-0 contro la Sambenedettese, il centrocampista ingigantì all’inverosimile un eritema alla pelle con l’unico scopo di farsi ricoverare nell’ospedale militare di Palermo. Il piano inizialmente riesce e Maritozzi torna in Sicilia coi suoi compagni. Fin qui nulla di strano, senonché dopo pochi giorni si presenta al campo per allenarsi, ma non chiede una licenza come si farebbe normalmente. Maritozzi fa di testa sua. Scavalca la recinzione della caserma e si presenta, tra lo stupore di tecnico e compagni al campo d’allenamento.
«Sono in licenza per potermi allenare», racconta. La scusa però è destinata a durare poco. In Sicilia, infatti, la carta stampata segue in modo quasi maniacale le gesta dei rosanero. Lo stesso accade in caserma, dove il comandante il giorno dopo, all’ora della colazione, quasi si affoga con il cornetto leggendo che Maritozzi ha partecipato alla partitella in famiglia del giorno prima.
Il danno è fatto. Maritozzi viene confinato in caserma e salta Palermo-Pisa (finirà 1-0, ndr) scatenando l’ira non solo del suo comandante, ma anche dell’allenatore Giancarlo Cadè e del direttore sportivo Erminio Favalli.
Il racconto di Maritozzi
«Il mister si arrabbiò tantissimo quando scoprì che ero scappato dalla caserma», ci narra Riccardo. Il centrocampista pensava di essersi garantito l’impunità accordandosi con alcuni commilitoni di fede rosanero, ma come abbiamo visto fu la stampa a ritorcersi involontariamente contro di lui. «Le cose, così come le avevo organizzate con alcuni altri soldati della caserma, erano andate bene. Dopo essermi allenato con i compagni ero tornato tranquillamente in camerata senza che nessuno se ne accorgesse o si facesse troppe domande. Il problema – spiega – fu che al mattino nel bar degli ufficiali il comandante lesse nel giornale che mi ero allenato regolarmente il giorno prima, e lì fu la fine del mio piano per la fuga perfetta».
In fumo andò anche la possibilità per Maritozzi di prender parte alla gara della domenica. Il Palermo decise di multarlo ma non si privò di lui, schierandolo in campo già la settimana successiva a Vicenza. «Fu la società a costringermi a tornare e restare in caserma, poi mi fecero una multa. Presi una bella strigliata da Cadè e Favalli che mi accusarono di voler sempre fare quello che mi pareva. Devo dire – sorride – che avevano proprio ragione sotto questo punto di vista».
Ma l’estro di Maritozzi non venne a galla solo a Palermo. Ne sa qualcosa Luigi Radice, che ebbe a che fare con lui quando – proveniente dalle giovanili del Russi – il diciassettenne venne aggregato con la prima squadra granata in occasione della gara di Coppa Italia contro l’Inter a San Siro. Sarebbe il sogno di ogni giovane e qualsiasi ragazzo sarebbe in preda all’emozione più profonda nei minuti precedenti alla gara, ma Maritozzi reagì a quell’occasione a modo suo, come racconta lui stesso. «Prima della partita Radice incontrò i ragazzi aggregati dalla Primavera. Eravamo in tre, ci chiese che scuola facessimo e io gli dissi che andavo a scuola guida. Ci fu un attimo nel quale tutti rimasero in silenzio e vidi che Radice stava pensando a come reagire. Alla fine, per fortuna, si fece solo una risata».