

Nato e cresciuto a Roma, con il cuore mezzo giallorosso e mezzo biancazzurro. Questi ultimi colori sono quelli di San Marino, la Nazionale per la quale ha giocato (e segnato) più di ogni altro. Vent’anni di carriera nei quali Andy Selva si è diviso, con orgoglio, tra i diversi club con i quali ha militato e il Titano.
Andy Selva, l’uomo dei record
Se i tifosi della tua Nazionale ti chiamano Leggenda, vuol dire che hai lasciato una traccia non indifferente del tuo passaggio. Da più di vent’anni, Andy Selva è l’immagine di spicco della rappresentativa del piccolo stato di San Marino, e i numeri parlano da soli. Le 74 presenze ed 8 reti registrate con la maglia celeste, poi azzurra (e adesso nuovamente celeste) fanno di lui il recordman assoluto in ambo le graduatorie.
Ed è proprio il numero di gol realizzati ad essere indicativo dell’importanza che ha avuto Andy per la nazionale del Titano. Selva, infatti, ha messo la firma su poco meno della metà delle ventitré reti segnate da San Marino in quasi trent’anni di affiliazione alla FIFA. Dato ancor più eclatante se consideriamo che il più diretto inseguitore, Manuel Marani, conta appena due marcature…
Vero e proprio trait d’union tra la generazione dei Bonini, Macina e Maiani e quella emergente dei giovani professionisti Filippo Berardi ed Elia Benedettini, Andy Selva si è ritirato dal calcio giocato solo nel 2018, a 42 anni, dopo aver disputato gli ultimi anni della sua carriera nel campionato sammarinese. E con alle spalle un serio infortunio al tendine d’Achille, che nell’Aprile del 2017 sembrava poter mettere la parola fine alla sua carriera. Invece l’attaccante è tornato a vestire la maglia de La Fiorita, società di Montegiardino per la quale ha militato dal 2014, prima di intraprendere la carriera da allenatore.
L’esordio in Nazionale
Dopo un passato tra i professionisti, transitando per piazze importanti come Padova, Verona (sponda Hellas), Sassuolo e Ferrara, indossando il bianco-blu della Spal, Selva ha scelto di fermarsi, insieme alla moglie e ai piccoli Christian e Mattia, nella terra del nonno paterno, nato a San Marino e poi trasferitosi a Roma da giovane.
Andy, infatti, non è un prodotto dei vivai locali, ma è cresciuto nella capitale sviluppando i primi contatti con la Repubblica solo in età adulta.
«Prima del servizio di leva, che ho svolto qui», ci racconta, «per me San Marino era un posto praticamente sconosciuto. Solo in quel momento ho avuto i miei primi contatti con la Federazione, e da lì a breve è arrivata la prima convocazione con l’Under 21». Appena una puntatina breve tra i giovani, e si spalancano le porte della Nazionale A. Quattro giorni dopo l’esordio, all’allora Olimpico di Serravalle, arriva già la prima rete. Ne è vittima l’Austria e tale Franz Wohlfahrt, allora portiere dello Stoccarda. Niente male, per un ragazzo ventiduenne appena affacciatosi nel mondo del calcio professionistico.
La fascia di capitano, la spregiudicatezza, il rispetto
È solo l’inizio di un lungo percorso che vede Andy prendere, almeno sul campo, le redini della Nazionale. E soprattutto, permette al calciatore di comprendere cosa vuol dire essere sammarinese e difenderne i colori. Fino al traguardo della fascia di capitano.
«Ho tanti bei ricordi della mia avventura con San Marino», dice sorridendo, «su tutti, la vittoria contro il Liechtenstein nel 2004. Ma ho trovato soddisfazioni anche in certe sconfitte. Ricordo ancora una partita giocata a Serravalle contro la Lettonia, in cui perdemmo 1-0 ma giocammo con spregiudicatezza, proiettati in avanti come non mai. Uno spirito, quello di voler battersi in maniera propositiva e non difendendo ad oltranza, che purtroppo abbiamo perso negli anni, e spero si possa recuperare».
Una storia di eterni Davide contro i Golia di turno. Con soddisfazioni limitate «e un rispetto che, pur in un ambito competitivo come quello calcistico, abbiamo cercato di guadagnarci. Ricordo con piacere un presidente federale avversario che venne a scusarsi con noi per aver vinto con un gol in fuorigioco evidente, e ringrazio chi ha dato il massimo contro di noi rifilandoci sonore batoste. Solo in una partita, contro l’Olanda nel 2011, ho affrontato a muso duro quanti sull’8-0 per loro cercavano in continuazione il colpo di fino per guadagnarsi gli ‘olé’ del pubblico…»
Il rammarico del mancato addio, il rimpianto della doppia cifra
L’ultima presenza di Andy Selva con la maglia di San Marino risale al 2016, con una manciata di minuti giocati contro la Norvegia. Poi, un paio di panchine e l’infortunio al tendine d’Achille che lo ha tenuto ai box per più di sei mesi. Al rientro, le porte della Nazionale sono rimaste chiuse, con un nuovo ciclo nascente e il ritiro ufficiale dopo l’ultima gara giocata in Europa con la maglia de La Fiorita.
«Purtroppo, la mia esperienza con San Marino è finita così. Mi aspettavo di poter dare un addio ufficiale sul campo, giocando qualche minuto delle ultime partite nelle quali sono stato convocato, ma non è accaduto», confessa con un pizzico di rammarico. «Mi tengo stretto quanto di buono credo di aver fatto e la stima di quanti hanno condiviso con me quest’avventura, e ne sono orgoglioso». C’è anche spazio per un piccolo rimpianto. «Non aver raggiunto la doppia cifra di gol segnati. Un traguardo al quale forse non ho pensato troppo nel corso della carriera, ma al quale, adesso mi rendo conto, mi sarebbe decisamente piaciuto arrivare».
Andy e il futuro fuori dal campo
Chi, per ragioni legate all’età, è prossimo al finale di carriera, non può non pensare al futuro professionale. Andy si è preparato alla vita fuori dal campo già durante l’attività agonistica, allenando nel settore giovanile del C.G.C. Titano, consorzio formato dalla Fiorita insieme a Tre Penne, Pennarossa e Murata, ulteriori società del campionato sammarinese. Solo il preludio alla prima avventura sulla panchina, alla guida della nazionale Under 17 e della squadra che milita nei campionati giovanili italiani nella medesima categoria.
Inoltre, per anni, Andy è stato presidente dell’Associazione Sammarinese Calciatori, omologo di quel Damiano Tommasi con il quale ha condiviso il campo in occasione dei match europei della sua squadra.
«Grazie all’amicizia con Damiano», sottolinea, «abbiamo dato vita ad una collaborazione con l’AIC, che pure fa riferimento principale ad una realtà professionistica lontana dalla nostra, prettamente dilettantistica. Siamo nati da poco, nel 2014, e stiamo incontrando le medesime difficoltà che incontrarono Campana e i calciatori 50 anni fa, nei primi anni di vita. In primis, quelli di essere riconosciuti come soggetto attivo a livello di tutela dei calciatori, con conseguente difficoltà nel farci capire da chi governa il nostro calcio. Ma ce la stiamo mettendo tutta, affinché la Federazione riconosca definitivamente il nostro ruolo».
E in chiusura, c’è lo spazio per i desideri. «Sento più che mai mio il ruolo di allenatore. Già sul campo tendevo a dare consigli ai compagni, ma lo facevo anche dieci anni fa, con Allegri e Remondina che mi lasciavano carta bianca (ride, ndr)».
La speranza, adesso, è quella di vederti alla guida dei ragazzi che vestono quella maglia alla quale hai dato tanto, tantissimo. E speriamo che chi di dovere non faccia orecchie da mercante…