Il problema del calcio è che non si gioca più per strada

Tre bambini giocano il calcio di strada
Tre bambini, un pallone, un garage usato come porta: una foto scattata nel 2017 nella mia Valledolmo (Giuseppe Garlisi)

Sempre meno calciatori abili nell’uno contro uno, sempre meno difensori in grado di eseguire un tackle perfetto. Le nuove tecnologie e l’allontanamento dal calcio di strada hanno portato il movimento italiano, su tutti, ad una mancanza di talento assoluto. E i recenti risultati confermano il trend negativo…

 

Ricordi d’infanzia

Due porte improvvisate. Una in corrispondenza di una grossa grata di scolo delle acque, l’altra un portone di un magazzino, a non più di venti metri di distanza l’una dall’altra, disposte quasi ad angolo retto. Un campo senza righe, delimitato da muri, marciapiedi e situato nel bel mezzo di un curvone, in una sorta di conca tra una ripida discesa e un tratto in leggera salita fino al corso principale.

Se dovessi descrivere la mia infanzia, partirei dal quartiere Stagnone di Valledolmo e da via Ezio Bondetti, teatro di epiche partite che duravano pomeriggi interi e che necessitavano di fermarsi al transito dei mezzi a motore. E dai ricordi di pantaloni strappati e conseguenti urla domestiche, di palloni finiti sotto le automobili o, peggio ancora, da rincorrere per ripidi pendii.

Sono figlio di quella che, probabilmente, è l’ultima generazione del calcio di strada, nella sua epoca finale e ben lontana dai fasti di qualche anno prima. I computer e i videogiochi, fortunatamente, hanno avuto il loro boom solo ad inizio adolescenza. Permettendomi di godere degli ultimi residui di abrasioni da asfalto, Super Santos anche fuori dai lidi balneari e, soprattutto, di estati all’aria aperta.

Memorie, purtroppo, sempre più rare. A una generazione cresciuta col sogno di emulare Ronaldo, Totò Schillaci o anche solo il primo Juan Roman Riquelme nei cortili, nelle piazze o sulle semplici strade, corrisponde l’epoca attuale fatta di tablet, smartphone e, forse, genitori sin troppo premurosi. Che sia questo uno dei motivi, almeno in Italia e specie tra i dilettanti, di una qualità calcistica ridimensionata?

 

Da Cruijff a Cassano, cresciuti giocando in strada

Bando alla nostalgia. Lungi da me evocare tempi calcistici migliori e passati, giungendo financo all’invocazione di Cleto Polonia e similari. Il gioco odierno è profondamente mutato rispetto a quello di qualche anno fa, molto più veloce e votato alla pura fisicità. Motivo per cui non difendo il culto assoluto dei campioni degli anni ’80 e ’90, i quali probabilmente oggi avrebbero mietuto meno successi che allora. Un dato, però, è inequivocabile: il dribbling, almeno nel calcio europeo, è diventato merce rara. E non c’è ritmo maggiore che tenga.

Così, ripenso alla storia di uno dei migliori calciatori in grado di creare superiorità numerica. Quel Johan Cruijff del quale già descrissi il passato infantile a Betondorp, vero e proprio quartiere di cemento di Amsterdam. Qui, nella piazza principale, il futuro 14 dell’Ajax e dell’Olanda imparò a sfuggire ai falli e alle rovinose cadute coniando quella che verrà ricordata come Cruijff draai, la finta di Cruijff.

Come? Anticipando la finta di quella frazione di secondo necessaria per mandare fuori tempo il difensore ed evitare l’intervento che lo avrebbe fatto cadere rovinosamente a terra.

Altra storia celebre di un calciatore cresciuto per strada è quella di Antonio Cassano. Nato nel quartiere popolare di Bari Vecchia, in una situazione di povertà, il giocatore ha confessato a diversi giornali di aver affinato le proprie abilità tecniche giocando nei vicoletti, tra le bancarelle. Peraltro, Cassano ha anche ammesso di aver gareggiato, nell’adolescenza, per guadagnare le mille lire di turno, vendendo di fatto il suo talento per guadagnare un pur misero importo quotidiano.

 

Tempi andati, che non torneranno più. Forse…

Molti regolamenti comunali, oggi, tendono a vietare la pratica del calcio in strada, a tutela della quiete pubblica. A rendere il tutto più desolante, però, c’è che i parchi cittadini, fino a qualche anno fa gremiti da bambini, oggi molto spesso siano semivuoti. E anche quando vi sia qualche sprazzo di vitalità, sempre meno palloni rotolano sui prati.

Così, le scuole calcio rimangono l’ultimo baluardo del gioco popolare per eccellenza. E queste, fortunatamente, si sono strutturate negli anni, modernizzandosi e arricchendo le conoscenze teoriche latenti fino agli scorsi anni. Rovescio della medaglia, però, è che i ragazzi hanno perso quel pizzico di sana follia che veniva donato dal giocare ovunque ci fosse un pallone e uno spazio più o meno idoneo alla pratica. Meno brio, meno inventiva, meno fantasia. Forse qualche toppa in meno sui pantaloni, ma senza l’ebbrezza di aver tentato il recupero in scivolata a pelo di cemento, nella migliore delle ipotesi.

Facciamo in modo che i nostri figli non crescano incollati a uno schermo, ma diamo loro modo di crescere fuori da quattro mura, con un pallone tra i piedi. Restituiremo loro quel senso di libertà che noi per primi abbiamo vissuto. E magari, chi lo sa, dalle strade nasceranno i nuovi campioni della Nazionale…

Un giorno, mentre maturava in me l’idea di scrivere questo pezzo, mi sono imbattuto in una foto di un amico. Ed è esattamente quella che propongo come copertina di quest’articolo. 2017, tre bambini, un pallone e un garage in vendita usato come porta: è quello che basta per non perdere la speranza.

 

 

3 commenti su “Il problema del calcio è che non si gioca più per strada

  1. Su questo argomento Vi segnalo un bel libro “L’Isola che non c’è”, di Ezio Glerean. Non è un libro di memorie ma è un manifesto per il rilancio del calcio italiano. Un calcio nazionale che deve ripartire dal recupero della gioia di giocare al pallone da parte dei giovani; dal recupero del rapporto con il territorio, con le famiglie, con gli amministratori locali e con le società sportive. L’appello di Glerean, allenatore militante, è rivolto a tutti coloro che amano il “gioco più bello del mondo” ed è un progetto concreto che lui stesso si propone di costruire, insieme ai suoi colleghi allenatori, prima che sia troppo tardi.

  2. Il calcio di strada non c’è più. Certo una volta si giocava per strada o all’oratorio anche 5-6-7- ore al giorno , ora nelle scuole calcio, 1 ora e mezza 2 volte alla settimana ma a parte questo l’insegnamento della tecnica è stato abbandonato. Nel 2003- 2005 su organi ufficiali : L’Allenatore e il Calcio Illustrato, Bruno Bolchi ex Consigliere Federale e Luigi Agnolin ex Presidente SGS hanno denunciato : ….” Da una quindicina di stagioni, quasi tutti gli allenatori dei settori giovanili hanno sposato le nuove idee abbandonando l’insegnamento della tecnica e che nei vivai non si insegna la coordinazione. ” Sono passati più di 30 anni e dato che il calcio di strada lo ribadisco non c è più
    bisogna insegnare correttamente la tecnica in movimento curando le coordinazioni specifiche, da tantissimo tempo si è abbandonato l’insegnamento ed il gioco del calcio si è velocizzato, bisogna insegnarlo con i movimenti fondamentali del gioco. E’ da parecchio tempo che si torna sempre su questo argomento e non solo, si dice anche che il gioco del calcio non si insegna, che i ragazzi devono imparare da soli, ” basta con allenatori e istruttori non bisogna istruire nessuno..ecc. ecc. . si parla si parla forse per mantenere le cose come stanno. I movimenti fondamentali sono i cambi di direzione (90°) e di senso (180°) vengono fatti fare senza palla perché non si sanno insegnare con le coordinazioni specifiche con la palla. Cosa fare? Come fare? saluti

  3. la coordinazione (gesto tecnico) è sempre legata da un movimento preliminare, un giornalista alle olimpiadi di Atene 2004 ha detto: La coordinazione determina la forma e l’eleganza del movimento, quindi bisogna conoscere come ci si coordina con la palla e il movimento che la precede. Una cosa importante: la coordinazione di base è con l’interno piede o piatto ma bisogna conoscere il punto di impatto del piede (non la zona) che deve venire a contatto della palla.
    Ora se non si ha conoscenza della coordinazione di base che è identica per la conduzione, trasmissione e ricezione e il relativo punto impatto non si può insegnare correttamente. saluti

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