

(di Nicola Fabbri)
Corre l’anno 1923, siamo a Cagliari, e da ormai tre anni è nata la squadra che nel tempo diventerà la vera e propria rappresentante della Sardegna nei maggiori campionati nazionali: il Cagliari. Essa gioca in un campo, lo Stallaggio Meloni, in terra battuta, ove fino al 1922 non esisteva nemmeno una tribuna, fatta poi costruire in quello stesso anno dal neo-presidente Mereu, successore del fondatore e primo presidente del club Gaetano Fichera.
In questo anno, la Società Ginnastica Amsicora, polisportiva del capoluogo sardo attiva dal 1897, inaugurò un nuovo stadio, a cui trasmise anche il proprio nome: ha così inizio la storia dello Stadio Amsicora di Cagliari, scrigno dei futuri successi dei rossoblu.
Le storie della squadra dei quattro mori e quella dell’Amsicora si incroceranno solamente nel 1951, ponendo in essere una stagione trionfale culminata con la vittoria del campionato di Serie C, e dunque con la promozione in Serie B. L’inadeguatezza dello Stadio Comunale di Via Pola, utilizzato dalla squadra dal 1924, anch’esso in terra battuta e con appena una tribunetta per il pubblico, infatti, spinse il presidente Loi a cercare un accordo con l’omologo Cottiglia per trasferire il Cagliari presso lo stadio della polisportiva, riuscendovi.
La prima stagione che i rossoblu giocheranno tra i cadetti all’Amsicora sarà quindi quella 1952-53. Dopo aver pareggiato la prima partita a Lodi 2-2 contro il Fanfulla, il Cagliari è pronto a fare il suo esordio nella sua nuova casa. Uno scialbo 0-0 contro il Siracusa costringe i tifosi ad aspettare per la gioia casalinga, che arriverà la settimana successiva battendo il Padova.
Nonostante il fortino casalingo, il campionato si concluse col quarto posto, sfiorando la Serie A da neopromossa, prima di riuscire nella stagione successiva a fare ancora meglio, chiudendo al secondo posto a pari punti con la Pro Patria.
Soltanto le prime due classificate accedevano alla Serie A e in quegli anni vigilava ancora la regola dello spareggio: il Cagliari si gioca la Serie A in una singola partita, in campo neutro a Roma, il 6 giugno 1954: appuntamento rinviato, dato il 2-0 finale.
L’attesa, però, sarà tutt’altro che immediata: 9 anni di purgatorio, con anche un ritorno in C.
Ma arriviamo così alla stagione 1963-64. Il Cagliari parte subito col piglio giusto, ma senza troppe illusioni. Le zone alte della classifica, in passato, sono già state più volte calcate, senza però riuscire mai a raggiungere l’obiettivo Serie A. Questa volta, però, fino a poche giornate dal termine la squadra è pienamente in corsa… che sia la volta buona?
Mancano due giornate alla fine del torneo, il Cagliari, appaiato al Foggia, si trova al secondo posto, a +3 dal Padova quarto e appena fuori dalla zona promozione. La trasferta di Udine vede la squadra sotto 1-0, mentre all’Appiani di Padova il Monza vince 2-1.
Ormai sembra tutto rimandato all’ultima giornata, quando ad un certo punto un ragazzino di Legnano, appena diciannovenne, arrivato sull’isola controvoglia dalla squadra della città natale, al minuto 81 va in gol. Si chiama Gigi Riva.
È un gol che potrebbe dare la matematica certezza della Serie A, più volte sfiorata, più volte sognata. Le radioline di tutta la panchina sono sintonizzate su Tutto il calcio minuto per minuto, in attesa di novità da Padova. Che arrivano, al momento del fischio finale, con il risultato invariato. La festa può iniziare, finalmente.
La prima avventura nella massima serie è segnata da un inizio un po’ affannoso: dopo le prime due giornate, giocate entrambe fuori casa, all’Amsicora arriva la Sampdoria, bloccata sull’1-1, prima di vincere 2-1 la giornata successiva sempre tra le mura amiche contro il Lanerossi Vicenza. Nel girone di ritorno, lo stadio diventerà pressoché inespugnabile anche in A: 8 vittorie, 1 pareggio ed una sola sconfitta, cadono, col minimo scarto, sia Roma che Juve. L’undicesimo posto, replicato anche nella stagione successiva, lancia la squadra anche in campo europeo, nella Mitropa Cup. La vittoria casalinga per 2-1 contro l’FK Sarajevo sarà vanificata, nella gara di ritorno, dal 3-1 dei bosniaci.
Nel 1968-69, il Cagliari viene da un nono posto e ha tutte le carte in regola per fare molto bene. La squadra è stata rinforzata, ma nessuno si aspetta che i rossoblu siano tanto forti da arrivare a contendere lo scudetto alla Fiorentina fino a poche giornate dal termine del campionato, vinto poi dagli stessi viola. Il secondo posto finale, miglior posizione in classifica mai raggiunta nella storia fino a quel momento, serve a gettare le basi per la stagione successiva, oltre a garantire la qualificazione in Coppa delle Fiere, antenata della Coppa UEFA.
Il cammino continentale si ferma ai sedicesimi di finale contro i tedeschi del Carl Zeiss Jena, dopo aver eliminato l’Aris Salonicco, ma è il campionato il grande obiettivo di Riva e compagni, riscatto sociale per un’isola bistrattata.
La stagione comincia subito benissimo, e alla quinta giornata va in scena allo Stadio Comunale di Firenze il big match tra i viola campioni d’Italia e i rossoblu, appaiati in testa. Partita tesissima, di difficile gestione anche per un arbitro del calibro di Lo Bello: la spunterà il Cagliari 1-0, con un rigore di Gigi Riva: primo posto blindato, con qualche sporadico tentativo di fuga, agevolato dal fattore Amsicora, dal quale nessuno è uscito facendo bottino pieno, in stagione.
Si arriva così alla 24ª giornata, il Cagliari è 2 punti più avanti della Juventus seconda, nel giorno dello scontro diretto a Torino. Al 29′ del primo tempo, su un cross di Furino il difensore ospite Comunardo Niccolai incorna nella propria rete un pallone che stava finendo tra le mani di Albertosi, ma con un colpo di testa il solito Gigi Riva riporta tutto in parità: 1-1.
Ma è nel secondo tempo che succede l’incredibile, con l’arbitro Concetto Lo Bello che assegna un rigore molto dubbio alla squadra di casa: Albertosi para, ma non contento il direttore di gara siciliano decide di far ribattere senza apparenti motivi: il portierone rossoblu, incredulo e in preda alla disperazione, comincia quasi a piangere. Sulla battuta del calcio di rigore Anastasi non sbaglia, è 2-1 Juventus.
Le immagini dell’epoca ci mostrano le proteste di un inviperito Riva all’indirizzo di Lo Bello, che si fa perdonare assegnando ai rossoblu un calcio di rigore altrettanto discutibile, trasformato dallo stesso attaccante con qualche rischio, visto che il portiere bianconero Anzolin tocca il pallone senza però riuscire ad evitare che esso finisca lentamente in rete. 2-2 e vantaggio in classifica immutato.
Il 12 aprile 1970, a tre giornate dal termine, il Cagliari è di scena all’Amsicora contro il già retrocesso e fanalino di coda Bari, mentre la Juventus gioca a Roma, contro la Lazio, a 3 punti di distanza dalla capolista. In caso di vittoria e contemporanea sconfitta bianconera, si festeggerà il titolo in casa.
Riva al 39′ mette il suo nome sul tabellino, per l’1-0, mentre all’Olimpico il risultato rimane fisso sul pari.
Fino al 55′. Rete di Ghio, Lazio in vantaggio.
I preparativi per la grande festa si intensificano al 74′, quando viene assegnato un calcio di rigore alla Lazio, che Giorgio Chinaglia trasforma. 2-0.
Ora è tutto nelle mani dei cagliaritani. Mancano due minuti alla fine della gara, quando il pallone arriva a Bobo Gori che, nonostante gli inviti dei compagni a perdere tempo, entra in area e, dopo qualche finta di corpo, scaglia un destro sul primo palo su cui nulla può il portiere del Bari. I minuti restanti praticamente non si giocheranno neanche.
Il campionato si chiuderà con due partite esterne, contro Milan e Torino. Il 26 Aprile si chiude la stagione 1969/70, quella dell’ultimo ed unico scudetto sardo, e dell’ultima in A all’Amsicora.
Nella stagione successiva, infatti, verrà inaugurato il nuovissimo Stadio Sant’Elia, in cui il Cagliari si trasferirà. Si giocherà nel vecchio stadio solo nel 88/89, in Serie C. Ed ancora una volta, sarà campionato vinto.
Oggi il Cagliari, fallita l’esperienza Is Arenas, nella vicina Quartu Sant’Elena, gioca ancora al Sant’Elia, seppure è stato progettato un nuovo impianto. Riva, dopo le prime titubanze sull’isola, né è divenuto un simbolo, pur senza esservi nato, e si è definitivamente stabilito a Cagliari.
Lo storico Amsicora, dopo una ristrutturazione e la posa del manto sintetico, viene utilizzato per le attività della Società Ginnastica che ha dato il nome allo stadio: atletica leggera e hockey su prato, oltre a due palestre ed una piccola piscina.
Il calcio non è di più di casa qui, e nemmeno i tifosi del Cagliari. Che, però, vi conservano un pezzo di cuore: qualsiasi sia l’impianto in cui si gioca, l’Amsicora è, e sarà, lo stadio dello Scudetto.