

La prima ed unica esperienza europea di una squadra romagnola: il Cesena, impelagato nei campionati regionali negli anni ’50, alla terza stagione di Serie A compì l’impresa di qualificarsi per la Coppa UEFA, trainata da capitan Ceccarelli. Un sorteggio sfortunato, purtroppo, comportò un’immeritata eliminazione già al Primo Turno.
Dino Manuzzi, il presidente della prima Serie A
All’inizio della stagione 1973-1974, fece la sua comparsa in Serie A, per la prima volta, una squadra destinata a compiere, qualche anno più tardi, un piccolo miracolo: il Cesena di Dino Manuzzi. Imprenditore nel settore ortofrutticolo, Manuzzi era a capo di una cordata di investitori che nel 1964 rilevarono la società, prima appartenente al suo fondatore, il conte Alberto Rognoni.
Al momento dell’acquisto, i bianconeri romagnoli stazionavano da qualche anno in C, dopo gli inferi delle serie minori (Promozione Regionale e Serie D) del decennio precedente. Grazie alle capacità gestionali della cordata presieduta da Manuzzi, il Cesena poté presto raggiungere la serie B e pochi anni dopo compiere il grande passo verso il massimo campionato italiano.
Uno dei punti fermi della formazione era senza dubbio la bandiera Giampiero Ceccarelli, prodotto del vivaio che esordì in prima squadra nel 1967 e giocò sempre in bianconero fino al ritiro avvenuto nel 1985, collezionando in tutto 591 presenze.
La storica stagione 1975/1976
Le prime due stagioni si conclusero entrambe con un undicesimo posto su sedici partecipanti. Ma aldilà delle posizioni finali che garantirono salvezze tranquille, il Cesena riuscì a regalare alcune prestazioni che saltarono all’occhio dell’attenzione pubblica contro squadre di alto livello. Nella stagione d’esordio in massima serie, i bianconeri superarono la prima fase a gironi della Coppa Italia, arrivando così tra le migliori 8.
Dopo avere quindi assunto la fama di provinciale temibile, il Cavalluccio allenato da Giuseppe Marchioro iniziò il campionato 1975-1976 con un pareggio a Milano contro l’Inter e una vittoria sulla Roma ottenuta nell’allora stadio casalingo “La Fiorita”, ricostruito nel 1988 e oggi dedicato alla memoria dello storico Manuzzi. I buoni risultati non mancarono per tutto il resto della stagione, e si arrivò all’ultima giornata coi bianconeri in lotta per un posto in Europa. Il pareggio col Torino e la contemporanea sconfitta del Bologna contro l’Inter consentirono ai romagnoli di arrivare a pari punti coi rivali rossoblù, e di sopravanzarli grazie alla differenza reti, conquistando così il sesto posto.
Allora la massima competizione europea, la Coppa dei Campioni, era riservata solo alla prima classificata, che quell’anno fu il Torino di Gigi Radice, lo stesso che aveva guidato il Cesena alla promozione in serie A pochi anni prima; in più l’Italia aveva a disposizione quattro posti per la Coppa Uefa. Il Napoli, quinto classificato, si aggiudicò la Coppa Italia, e conquistò il diritto a partecipare alla Coppa delle Coppe. Pertanto il sesto posto del Cesena significò per i bianconeri la prima e finora unica partecipazione a una competizione europea.
Magdeburgo – Cesena, la trasferta oltre il Muro
Il sorteggio non fu dei più fortunati: al Cesena toccò ai trentaduesimi di finale il Magdeburgo, squadra della Germania Est, situata allora aldilà della cortina di ferro, sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. Un mondo ai tempi diverso da quello a cui erano abituati i giocatori della squadra della città sul Savio, molti dei quali privi di esperienze internazionali. Dopo un viaggio complicato, il 15 settembre 1976 il Cesena scese in campo per giocarsi le proprie chances europee, davanti a 800 coraggiosi tifosi giunti direttamente dalla Romagna.
Il Magdeburgo, tre volte campione della Germania Est negli anni ’70 e vincitore della Coppa delle Coppe appena due anni prima, viene descritto dalle cronache del tempo come una squadra dalla tecnica non eccezionale, ma con una preparazione atletica accurata, grazie anche al campionato già in corso. La partita fu costellata fin dai primi minuti da colpi bassi, il Cesena cadde nella trappola e si lasciò innervosire, non riuscendo per niente a mostrare il proprio gioco.
Dopo il primo tempo, i bianconeri erano già sotto di 2 gol e con un uomo in meno, e nella ripresa la musica non cambiò. 3-0 e speranze di passaggio del turno ridotte al lumicino. Nessuno credeva più che il Cesena potesse ribaltare la situazione, e ci si augurava al massimo una prestazione sufficiente per riscattare la brutta sconfitta in terra tedesca.
La gara di ritorno e i rimpianti romagnoli
Due settimane dopo si disputò il match di ritorno e la squadra casalinga, spinta da un pubblico entusiasta, ci provò: prima la rete di Mariani nella frazione iniziale, poi quella di Pepe dopo cinque minuti della ripresa. Era ancora tutto possibile. Da una parte, i tedeschi sembravano allo sbando, dall’altra il Cesena continuava a spingere a testa bassa, lasciando però così spazio ai contropiedi avversari, uno dei quali è letale. Un’incursione di Sparwasser, uno dei migliori talenti tra i tedeschi, che nei Mondiali 1974 permise con una sua rete alla Germania Est di sconfiggere nella prima fase i cugini occidentali, organizzatori della rassegna e successivi campioni, pose fine all’euforia cesenate.
La rete del 3-1 non fece che aumentare i rimpianti, unita all’espulsione di Mariani; in ogni caso il Cesena fece dimenticare la pessima partita d’andata e si mostrò degna di un tale palcoscenico. Il Magdeburgo proseguì fino ai quarti di finale, dove fu sconfitta dai futuri vincitori del torneo, la Juventus di Trapattoni.
L’amara retrocessione dello stesso anno
Il Cesena, subito eliminato in Europa, non iniziò bene nemmeno in campionato. Dopo tre sconfitte in altrettante partite, l’allenatore Giulio Corsini, che guidava la squadra dall’inizio di quella stagione, venne esonerato. Tuttavia la situazione non migliorò e il Cesena concluse il campionato malinconicamente all’ultimo posto e con un amaro ritorno in serie cadetta.
Il negativo esito di quel campionato non offusca però il meraviglioso significato di questa avventura: a ogni squadra, pur piccola che sia, è concesso di sognare traguardi che sembrano irraggiungibili, poiché anche per ognuna di loro nulla è impossibile.