

Uno dei più giovani esordienti in massima serie, il più giovane in assoluto in nazionale (anche se, dietro questo record, si cela un giallo): Renzo De Vecchi, milanese classe 1894, ha di fatto segnato la storia dei primissimi anni del calcio italiano, meritandosi il soprannome di “Figlio di Dio” per merito delle ottime prestazioni messe in mostra sul campo sin dalle prime partite, nonostante l’età.
La stagione 1909-10
La stagione 1909-1910 fu quella in cui si disputò il tredicesimo campionato italiano di calcio. Questa edizione presentò due novità che saltano subito all’occhio.
Fu infatti la prima in cui le squadre si affrontarono tramite la formula del girone unico, con gare di andata e ritorno. Sistema che, tra l’altro, fu scartato già l’anno successivo e che ricomparirà stabilmente con la nascita della Serie A nel 1929-1930. A parte la doverosa l’eccezione del campionato post-bellico 1945-46, in cui i postumi della guerra e la difficoltà nell’attraversare gli Appennini resero necessari due gironi, uno a Nord e uno al Centro-Sud.
Il consequenziale aumento del numero delle partite, inoltre, rese necessario svolgere il campionato a cavallo di due anni solari. Nel contesto in cui versava il calcio, ai propri primi passi in Italia, si stava assistendo a continue proteste e disaccordi fra squadre e federazione, spesso retaggio di evoluzioni continue relative alle formule per lo svolgimento dei campionati. La passione per questo gioco, portato in Italia dai marinai inglesi, però si stava sempre di più espandendo. E in questi anni si assistette al debutto di uno dei primi fuoriclasse che la storia del pallone celebri.
Gli esordi di De Vecchi
In questa stagione il Milan schierò, per tutto il corso della stagione, l’appena quindicenne Renzo De Vecchi. Classe 1894, origini milanesi e fisico non proprio eccezionale, Renzo fu spinto a giocare dal padre, tifoso rossonero che si accorse ben presto delle qualità del figlio. Nelle giovanili si distinse come mezzala ma, appena approdato in prima squadra, durante un torneo amichevole fu necessario il suo impiego come terzino sinistro, data l’assenza dei titolari. Da quel momento non abbandonò più quel ruolo, tranne che in nazionale.
La posizione arretrata sul campo non impedì al giovane di esprimere il suo straordinario talento. Venne descritto come un difensore completo, eccellente negli anticipi e nei contrasti, e con ottime capacità di spinta sulla fascia. La sua spiccata personalità gli permise di essere un leader della retroguardia rossonera per la quale si batteva, secondo i racconti dell’epoca, in ogni partita, dando fondo a tutte le sue energie. Fu proprio per le sue immense qualità, legate alla giovanissima età, che i tifosi gli attribuirono un soprannome rimasto a lui legato per tutto il corso della carriera. E che forse più di ogni commento può dare conto della popolarità di cui godeva negli ambienti calcistici e, in particolare, in quelli del tifo milanista.
De Vecchi era il figlio di Dio, perché Renzo “el giugà a la bala” così bene che un livello tale esiste soltanto in paradiso.
Il trasferimento al Genoa
Il Milan dell’epoca, tuttavia, non è quello dei tempi migliori. Sì, ha già vinto tre scudetti nella sua breve storia, ma non ha il potenziale (e i soldi) delle piemontesi, che domineranno i campionati successivi.
Il calcio di quegli anni, peraltro, è uno sport dilettantistico a pieno titolo. La quasi totalità dei calciatori lavora durante il giorno e gioca nel tempo libero, di pallone non si vive. Renzo, ad esempio, lavora alla Banca Commerciale di Milano.
Ed è per questo che, nel 1913, un De Vecchi già affermato quale stella del calcio italiano viene avvicinato da diverse squadre, che gli offrono un contratto di lavoro più sontuoso di quello milanese per avvalersi delle sue prestazioni. A Vercelli, ad esempio, hanno già pronto un assegno in bianco per convincerlo a giocare con la Pro. Ma sarà il Genoa ad ingaggiarlo nel 1913, grazie allo stipendio da record offerto dalla Comit, banca commerciale cittadina. Vestirà la maglia del Grifone fino al ritiro, avvenuto nel 1929, dopo 14 stagioni e 3 scudetti conquistati.
De Vecchi e la Nazionale
Negli anni del debutto di De Vecchi vide la luce la Nazionale italiana di calcio. Il giocatore milanese si fece presto spazio nella selezione anche grazie alla squalifica dei giocatori della già citata Pro Vercelli, esclusi per un motivo singolare. La squadra piemontese, infatti, si rifiutò di partecipare allo spareggio che doveva attribuire lo scudetto del 1909-1910 contro l’Internazionale, con la quale avevano terminato a pari punti il girone, e la Federazione decise di sanzionare tutti i tesserati.
Nella prima partita della storia della rappresentativa, vinta contro la Francia il 15 maggio 1910, De Vecchi fu solo riserva. Nella seconda, il 26 maggio contro l’Ungheria, scese in campo nella ripresa come sostituto dell’infortunato Cevenini. A 16 anni, 3 mesi e 23 giorni, un’età veramente precoce. Fu solo la prima delle 43 presenze del figlio di Dio in Nazionale, 26 delle quali da capitano.
Il giallo Gavinelli
Viene spontaneo chiedersi se sia lui il giocatore più giovane ad aver indossato la maglia azzurra (o meglio bianca, dato che fu questo il colore dell’Italia fino al 1911). Parrebbe di sì, ma la risposta non è così immediata come può apparire. È ancora aperto un dibattito riguardante l’identità di un calciatore che disputò una partita contro la Francia il 9 Aprile 1911. Sappiamo per certo che il suo cognome era Gavinelli, ma sul resto le fonti si dividono.
L’Almanacco illustrato del calcio elenca il nome di Gavinelli Pietro Antonio, nato nel 1895, che strapperebbe il record a De Vecchi. Un personaggio che però, secondo alcuni, era completamente estraneo al mondo del calcio. Si hanno anche notizie di un Rodolfo Gavinelli nato nel 1891 e morto nel 1921, che giocò nel Piemonte a partire dal 1908. Vittorio Pozzo, commissario tecnico della nazionale dal 1929 al 1948, nelle sue memorie però annovera tra i calciatori morti nella prima guerra mondiale tale Rodolfo Gavinelli, attaccante del Piemonte e della Nazionale, creando un contrasto tra le date di morte.
La scoperta di un Annuario italiano del football del 1913-14 riporta una presenza internazionale di un certo Rodolfo Gavinelli, nato nel 1895. Quest’ultima fonte sembrerebbe la più attendibile in quanto di poco successiva agli eventi e sottrarrebbe il record a De Vecchi. Anche se, probabilmente, la persona indicata non corrisponde al giocatore del Piemonte menzionato prima in quanto avrebbe dovuto fare il suo debutto in quella squadra a 13 anni.
Il finale di carriera
Negli ultimi tre anni della sua carriera De Vecchi accompagnò al ruolo di giocatore quello di allenatore del Genoa. Poi, appese le scarpette al chiodo, sedette a tempo pieno sulla panchina della vicina Rapallo nel 1930. Tornerà in rossoblù nel 1934, con la squadra appena retrocessa per la prima volta in Serie B, riportandola nella massima serie al primo tentativo per poi, sorprendentemente, dimettersi. Rimarrà comunque vicino al mondo del calcio in qualità di giornalista.
Renzo De Vecchi si spense nella sua casa di Milano nel Maggio 1967, a 74 anni, dopo aver donato al calcio italiano le sue giocate in campo e i suoi insegnamenti fuori. E il calcio italiano gliene sarà per sempre grato.