

Nello sport ci sono personaggi che trascendono il tifo, la fede e la passione personale. Sono quegli atleti che ti hanno regalato emozioni che ti porterai in dote per la vita, e non potrai fare altro che esserne grato.
Sono anche quegli atleti che, nonostante ti abbiano fatto disperare perché avversari storici del tuo idolo del cuore, non puoi fare a meno di ammirare, per il loro talento sportivo e per le loro caratteristiche umane, quali la passione, la determinazione, la caparbietà.
Di queste persone ce ne sono a bizzeffe, Football Pills potrebbe andare avanti per decenni raccontando tante altre storie come quella di oggi.
Esattamente quattro anni fa, il 20 maggio 2012, si è chiusa una storia d’amore (condita anche con un pizzico di odio sportivo) importantissima per molti sportivi e calciofili italiani e non solo. Allo Stadio Olimpico di Roma si gioca la finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli.
Questa partita non è stata solo l’epilogo di una competizione a cadenza annuale, ma ha rappresentato anche l’ultimo atto di un connubio storico. L’ultima notte di Del Piero da giocatore della Juventus.
Purtroppo, non è finita come avrebbe voluto lui. La Coppa, come sapete, andò al Napoli che vinse per 2 reti a zero. Ciò però, non ha cancellato quanto fatto prima di quella sera.
La storia di Del Piero la conosciamo tutti a memoria, nasce a Conegliano Veneto il 9 novembre 1974, gioca nel Padova con il quale debutta in Serie B nel 1992, poi approda in bianconero nell’estate del 1993 ed esordisce in Serie A nel settembre dello stesso anno, a neanche 18 anni.
E da lì il resto è anche superfluo raccontarlo.
La cosa più sbalorditiva di Del Piero è il seguito che si è creato intorno alla sua figura di calciatore e di uomo.
Le gesta di Del Piero hanno ispirato milioni di persone ed hanno influenzato la vita di alcuni giovani tifosi bianconeri che sono cresciuti vedendo il giocatore veneto dispensare magie al Delle Alpi, a Dortmund, persino a Tokyo. E proprio in Giappone, in occasione del Mondiale 2002, abbiamo avuto modo di vedere con quanto affetto sia stato accolto Alex.
In tanti hanno via via cominciato ad amare le prodezze di questo artista del pallone, finendo per essere tristi l’8 novembre ’98, quando al minuto 92 della patita di campionato Udinese-Juventus, il ginocchio di Pinturicchio cedette di schianto, lasciando la Vecchia Signora priva del suo fantasista per ben nove mesi.
Oppure contestando duramente Mister Capello nel 2005, quando mise ai margini del progetto tecnico Del Piero, diventato Capitano, nel momento in cui tanto lo consideravano finito.
Tutto questo, come con altri personaggi del genere, non arriva a caso. Alex Del Piero si è fatto voler bene dai suoi tifosi per lo stesso identico motivo per il quale gli avversari non lo sopportavano.
Era forte, maledettamente capace con il pallone tra i piedi, che soggiogava al suo volere con grande maestria e fantasie e, soprattutto, non mollava mai.
Era un rompiscatole fuori misura, bravissimo a mettere pressione agli avversari, anche lamentandosi per qualche entrata che considerava di troppo. Metteva nervosismo agli avversari e tranquillità ai compagni di squadra. Unite tutto questo alle sue indiscutibili abilità tecniche e avete uno degli attaccanti più forte di tutti i tempi.
Del Piero era egualmente amato e odiato anche per l’attaccamento alla maglia. Sfido chiunque a dire di non aver voluto Alex come numero 10 della propria squadra del cuore.
Ha sposato la causa bianconera al 120%, anche nel momento più difficile dell’intera storia bianconera quando, da campione del mondo, decise, insieme ad altri maestri del calcio moderno, di riportare la Juventus in Serie A.
Come si fa a non ammirare un professionista del genere?
Ma c’è una cosa che mi è sempre rimasta impressa e che stento ancora a credere.
Per questo, devo dire grazie ad un mio compagno di università, che, come altri, ha convogliato il suo tifo unicamente nella figura del Capitano.
È un giorno di novembre del 2012, un venerdì mattina. Un normale venerdì universitario di fine settimana. Quattro ore di lezione e la libertà, almeno per il weekend.
Ore 09:15 circa, aspettiamo in aula il Prof. per la lezione.
Io tiro fuori il mio blocco per gli appunti, lui il tablet. Ma non per gli appunti.
Cerca insistentemente di connetterlo al wi-fi della facoltà e, dopo varie imprecazioni, finalmente ci riesce.
AR – “Oh, adesso ci guardiamo il Sydney! Gioca contro l’Adelaide United, prima in classifica, è una sfida importantissima! Siamo partiti male, si è dimesso da poco l’allenatore, dobbiamo fare risultato”.
Subito rimasi attonito, poi le mie lente sinapsi si attivarono. Mi resi conto di essere affianco ad un tifoso juventino e quindi, il motivo di questo improvviso interesse per il campionato australiano poteva essere solo uno
YB – “Rigo, cosa stai dicendo? Guardi il Sydney solo per Del Piero?”
AR – “Certo, il Capitano bisogna sostenerlo sempre, ovunque vada! E io devo vedere il Sydney. Anche il sabato o la domenica, sveglia alle 08:00, Premium e via, a guardare il Capitano. E silenzio, nessuno deve disturbare.”
YB – “E’ entrato il Prof. Rigo, siamo in seconda fila. Ti vede.”
AR – “Dai, ma che difesa abbiamo! Necevski, sei un cane, sono meglio io di te! Siamo già sotto!”
YB – “Shhhh! RIGO! Ca**o, fa’ piano!”
AR – “Sta buono te, guarda qua che roba! Neanche in seconda categoria una difesa del genere! Guarda che mongolo Griffiths, sta bo’ vala! Come fa il Capitano a giocare in una squadra del genere?! Guarda guarda, ci prova ma vedi, non lo seguono! Sono degli impediti!”
E niente, il resto è storia. Anche la terza fila si era unita a noi, tutti a guardare il Sydney perdere in casa con l’Adelaide per 2-1, con disappunto del buon Rigo (non il nostro Matteo, intendiamoci) e di un’altra decina di improvvisati tifosi del Sydney FC.
Questo è quello che è riuscito a creare Del Piero, in 19 anni di militanza nella Juventus.
Tanti tifosi avversari che tremano al solo ricordo delle sue giocate e qualche “matto” come il mio amico Andrea che, a Reggio Emilia, nell’estate 2013, aveva le lacrime agli occhi vedendo il suo idolo d’infanzia da vicino.
E tutti insieme, di venerdì mattina, in un’aula universitaria ad aspettare un’altra delle sue pennellate.