Ave, o Cesare Maldini

Paolo e Cesare Maldini Champions
Cesare e Paolo Maldini stringono tra le mani Champions League e Coppa dei Campioni (fonte: today.it)

Questa volta, è una stretta al cuore.

Né io, né gli altri due redattori di Football Pills abbiamo avuto l’occasione di veder giocare Cesare Maldini, ma ci siamo appassionati al calcio nel periodo in cui, nel 1998, sedeva sulla panchina della Nazionale. E, sugli schermi televisivi, impazzava il “Vai, Paolino” di Teo Teocoli, imitatore dell’allora CT nelle trasmissioni della Gialappa’s.

Dire, adesso, che è sempre stato un mio punto di riferimento, sarebbe un’inutile smielata. Non sono nemmeno milanista, per cui nel vedere le foto ed i video di Maldini che, a Wembley, nel 1963, alza la Coppa dei Campioni, primo capitano italiano (e di una squadra italiana) a farlo, non provo commozione, gioia, esaltazione. Ma ammirazione, quella sì, perché a 31 anni il ragazzo di Servola, quartiere di Trieste oggi tristemente noto per l’emissione di fumi e polveri sottili della locale Ferriera, vede il coronamento di una carriera, iniziata nella sua città con la maglia alabardata della Triestina e proseguita, oserei dire trionfalmente, in rossonero, prima dell’ultima stagione al Torino, dando inizio a quella che viene ormai definita La dinastia dei Maldini, unico caso al mondo di un padre ed un figlio che, in epoche differenti, hanno sollevato, da capitani, la coppa della massima competizione continentale per club.

La scalata verso il grande calcio di Cesare Maldini ha inizio nei primi anni ’50, a Trieste. Si parla un gran bene di questo difensore centrale delle giovanili, magari non fisicamente prestante, ma dall’ottima capacità di lettura del gioco e, soprattutto, dalla spiccata personalità. Inizia ad allenarsi con la prima squadra nel 50/51, agli ordini di un certo Béla Guttmann, maestro di tattica dell’ormai rinomata scuola ungherese. Il tecnico intravede le sue qualità, ma, a causa della posizione di classifica deficitaria del club, non lancia in campo l’appena diciottenne calciatore. Ma i due si rincontreranno, qualche anno dopo…

Nemmeno nella stagione successiva c’è spazio per lui: la Triestina riuscirà a salvarsi, ma avrà bisogno di vincere ben due spareggi per farlo. Bisognerà, dunque, attendere il 24 Maggio 1953: con gli alabardati ad un passo dalla salvezza, il tecnico Perazzolo nella trasferta di Palermo lancia, dal primo minuto, il giovane Maldini.

Nella stagione successiva, sulla panchina del Comunale di Trieste, che verrà ribattezzato Grezar, in onore al calciatore triestino scomparso nella tragedia di Superga, nel 1967, siede un allenatore del luogo, dallo spiccato accento tipico della Venezia Giulia. O meglio, torna a sedervi, in quanto vi era già stato qualche anno prima, conducendo la squadra ad un clamoroso secondo posto nel 1947/48, alle spalle del mostruoso Torino.

Lo chiamano El Paròn, il padrone, per la sua capacità di farsi sentire dai giocatori nello spogliatoio.

Parliamo, ovviamente, di Nereo Rocco. Che si ritrova in mano ben altra squadra, rispetto a quella che lasciò qualche anno addietro: sfiduciata, sfilacciata, senz’anima. Parte del gruppo è ai ferri corti con la società, e allora il tecnico lancia da titolare, già alla prima di campionato, in trasferta con la Juve, diversi giovani. Tra questi, ovviamente, c’è Cesare Maldini, autore di una grande prestazione. E manterrà il posto da titolare, anche con il ritorno dei vecchi. Non solo, il Paròn gli affida anche, ad appena 20 anni, la fascia di capitano.

I risultati, però, stentano ad arrivare, e con la clamorosa sconfitta casalinga contro il Milan (0-6), Rocco viene sostituito dal giovane Feruglio. Il quale, però, mantiene l’ossatura standard già utilizzata dall’allenatore precedente, e i risultati arrivano, tanto che la salvezza verrà raggiunta con due giornate d’anticipo.

Nonostante la vittoria tennistica, sommata al 4-0 interno dell’andata, il tecnico rossonero ha osservato attentamente il giovane Maldini, e lo chiede espressamente per la stagione seguente, nella quale il nuovo proprietario Rizzoli sta costruendo un’autentica corazzata: nell’estate 1954, arrivano a Milano l’uruguagio Schiaffino e l’argentino Ricagni, che si affiancano a Liedholm, Nordahl e agli altri giocatori già presenti.

L’allenatore gioca con l’MM, classico modulo della scuola ungherese ed evoluzione del sistema: tre difensori, due centromediani a protezione della retroguardia, due mezz’ali pronte ad attaccare la fascia, un centravanti arretrato e due punte avanzate. Nel 1952, con questo modulo, l’Ungheria vinse il torneo di calcio alle Olimpiadi di Helsinki: allenatore Sebes, assistente un certo Guttmann…

Vi avevo già parlato del fatto che i due si sarebbero rincontrati: è proprio Guttmann il tecnico di quel Milan, e Cesare Maldini è sin da subito uno dei due terzini titolari.

Nove vittorie e un pari nelle prime 10 partite: la squadra sembra lanciata verso il titolo, ma nelle giornate successive, pur rimanendo in testa, qualcosa s’inceppa. La prima di ritorno è un vero e proprio crocevia stagionale: i rossoneri giocano fuori casa. A Trieste.

La squadra va sotto 2-1, e nella ripresa, su un cross dalla destra, l’ex Maldini segna uno dei suoi tre gol. No, non in questa partita. Nemmeno in stagione.

In carriera.

Appena un minuto dopo, però, il tiro di Secchi è deviato dallo stesso terzino, spiazzando Lorenzo Buffon. 3-2, al quale seguirà la quarta rete dei padroni di casa e la rete della bandiera di Nordahl. 4-3 finale.

La sconfitta interna della giornata successiva, contro la Sampdoria, costa il posto a Guttmann. Il successore Puricelli, uruguagio naturalizzato italiano, ex calciatore milanista ed alla prima esperienza in panchina (fu vice dello stesso Guttmann), porterà la squadra al suo quinto scudetto nella storia.

Nelle stagioni successive, Maldini diventa un perno della difesa rossonera, e con questa maglia arriveranno altri due scudetti e la prima finale di Coppa dei Campioni, persa nel 1958 contro il Real Madrid ai tempi supplementari.

Nel 1961, dopo ben 7 anni sulla panchina del Padova, squadra con la quale raggiunse il terzo posto in classifica nel 57/58, Nereo Rocco cede alle lusinghe dell’ex allenatore e adesso direttore tecnico del Milan Gipo Viani e passa in rossonero.

Si ritrovano così, dopo la parentesi triestina, Rocco e Maldini. Inizialmente, la fascia di capitano, dopo il ritiro di Liedholm, passa sul braccio di Zagatti, ma dopo pochi mesi il Paròn l’assegna al solito Cesare, che la terrà fino al suo addio alla maglia.

È scudetto alla prima stagione, con la squadra trascinata da un reparto offensivo di tutto rispetto: José Altafini, un giovane Rivera e Gino Pivatelli, con alle spalle, nel ruolo di chioccia, il campione del mondo 1950 Alcides Ghiggia, colui che fece piangere, con la sua rete, l’intero Brasile…

La stagione 62/63 vedrà un Milan praticamente immutato nell’undici titolare, che però dovrà subire l’onta di perdere lo scudetto a favore dei cugini interisti. Ma sarà in campo europeo che inizierà l’epopea del Milan: superato con grande facilità il primo ostacolo, i lussemburghesi dell’Union Luxembourg, la squadra sarà autrice di un cammino praticamente perfetto a San Siro, permettendosi il lusso di poter perdere in trasferta sia contro l’Ipswich, agli ottavi, sia contro il Dundee in semifinale.

Eppure, c’è chi guarda col naso storto alle due sconfitte nel Regno Unito: la finale, infatti, si giocherà a Wembley, in Inghilterra…

Il calcio d’inizio del 22 Maggio 1963 vede di fronte Milan e Benfica: quest’ultima squadra ha appena perso un volto noto del calcio italiano, il già citato e ricitato Béla Guttmann, che lasciando il club proferì l’ormai storica maledizione: “Il Benfica, senza di me, non vincerà più una Coppa dei Campioni”. In panchina, spazio al cileno Riera.

Dunque, vi sono cattivi presagi sia da una parte, sia dall’altra. Per questo, il Milan decide di non scendere in campo in rossonero, già usato nei due precedenti oltre la Manica, preferendo la maglia bianca, lasciando così la tradizionale rossa ai portoghesi che, dal loro canto, sottovalutano la frase rabbiosa di Guttmann, e puntando tutto su Eusebio, che apre le danze al 19′.

Nella ripresa però, Altafini, già capocannoniere della competizione, scardina le resistenze avversarie con una doppietta, ribaltando la partita: per la prima volta nella storia, la coppa delle grandi orecchie prende la strada verso l’Italia. Tra le braccia di Cesare.

Le stagioni seguenti saranno prive di titoli per il Milan, che nel frattempo ha perso Rocco, passato al Torino: la Coppa Intercontinentale del 1963, dopo la vittoria di Milano e la sconfitta al ritorno in Brasile, sfugge nello spareggio di Rio de Janeiro contro il Santos, pur privo di Pelè, presente solo nella gara d’andata, mentre in campionato non si andrà oltre al secondo posto del 64/65.

Nell’estate del 1966, dopo 12 stagioni al Milan, delle quali 5 da capitano, Cesare Maldini lascia il Milan. Per la terza volta, il tandem Rocco-Maldini si ricostituisce in granata, al Toro. Ma, per la prima volta, Nereo lascia la fascia di capitano a chi già l’aveva, Ferrini, anch’esso triestino, che la veste dal 1959, senza assegnarla a Cesare. La stagione si chiuderà con il settimo posto, l’addio di Rocco al Torino, per tornare al Milan, ma, soprattutto, quello di Maldini al calcio giocato.

Dopo qualche stagione lontano dal pallone, in concomitanza con i primi anni di vita del figlio Paolo, Cesare Maldini torna al Milan da vice di Rocco, per tre stagioni, prima di divenire primo allenatore in giro per l’Italia (Foggia, Ternana e Parma) e nuovamente vice di un altro corregionale, Bearzot, con la Nazionale, dal 1980 al 1986, ottenendo anche il mondiale spagnolo nel 1982. Dopo di ciò, guiderà la nazionale Under 21 per ben 10 anni, lanciando in azzurro tanti, grandissimi calciatori, tra cui lo stesso Paolo Maldini, e vincendo tre Europei di categoria consecutivi.

Nel Novembre del 1996, Sacchi lascia la nazionale per tornare ad allenare il Milan, suggerendo il nome di Cesare quale sostituto: sarà lui a guidare la nazionale all’avventura di Francia ’98, arrivando ai quarti di finale, dove il rigore calciato sulla traversa da Di Biagio segnerà l’eliminazione della competizione, a favore dei padroni di casa poi vincitori.

Nel 2001, in seguito all’esonero di Zaccheroni, gli sarà affidata, insieme a Tassotti, la panchina del Milan. Stagione, ad onor del vero, non esaltante, con un sesto posto finale, ma con la straordinaria vittoria nel derby per 6-0.

L’ultima esperienza da allenatore è quella alla guida del Paraguay, che porterà al mondiale in Corea e Giappone nel 2002, a ben 70 anni, sfiorando il pareggio agli ottavi contro la Germania poi finalista, che vinse solo a pochi minuti dal termine.

Dopo quest’avventura, Cesare sparisce dalla scena calcistica, facendone ritorno soltanto in sporadiche occasioni, da spettatore

Una delle sue ultime apparizioni pubbliche è nel 2010, al seguito del feretro di Enzo Bearzot, insieme a tantissimi esponenti del mondo del calcio.

Che, siamo sicuri, saranno presenti anche martedì, nella sua Servola, che gli ha dato i natali e lo ha lanciato nel grande calcio.

Quello che conta, senza alcun dubbio.

 

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