Federico Zini, dalla Toscana alla conquista della Mongolia

Federico Zini e Mauro Boerchio, Ulaanbaatar City
Federico Zini (a destra) col portiere Mauro Boerchio, compagno di avventura all’Ulaanbaatar City

Un attaccante giramondo, che dopo un’avventura da dimenticare a Riccione e un grave infortunio riparte dalla Mongolia. Qui, con la maglia dell’Ulaanbaatar City, Federico Zini punta a spiccare un volo che ha già avuto troppi freni. I quali, però, lo hanno spinto a pensare ai più deboli.

 

Alla scoperta di Federico Zini

Malta, Bulgaria, Filippine, Mongolia. Una sequenza apparentemente priva di senso logico, una serie di linee rette che tendono via via sempre più a est e si fermano ad Ulan Bator, la capitale dello stato natio del grande condottiero del 1200 Gengis Khan.

E se quest’ultimo personaggio ebbe come obiettivo quello di creare qualcosa di grande partendo da tali latitudini, non troppo diverse sono le finalità che si è posto l’appena ventiquattrenne attaccante italiano Federico Zini. Dopo un grave infortunio verificatosi nelle Filippine nel 2015 e che lo ha tenuto dai campi per ben 16 mesi, Federico nel 2017 riparte dalla massima divisione locale mongola, con la maglia dell’Ulanbaatar City. Una carriera da giramondo che è iniziata nel 2014, con la firma per lo Msida, squadra maltese, dopo l’annata in chiaroscuro a Riccione, in Serie D, ultima avventura in Italia.

«Una delle stagioni più belle a livello professionale», ci racconta, «con una salvezza raggiunta in maniera quasi insperata e un gruppo unito e mai sazio. Parte di questa coesione, però, deriva dalla situazione nella quale ci siamo trovati. Una società allo sbando che ci ha lasciato non solo senza soldi, ma addirittura senza un campo in cui allenarci e con il timore di essere sbattuti fuori dagli alberghi e dai ristoranti ogni giorno».

 

L’inizio dell’avventura estera

Così, Federico è ripartito da zero. 6 mesi a Malta, poi al Botev Vratsa, in Bulgaria, «dove prima di ogni partita ci davano da mangiare latte e cetrioli», narra divertito, «che peraltro ho scoperto essere una cosa usuale, per loro». Poi, la firma per il Ceres Negros, nelle Filippine. Solo che, in uno scontro d’allenamento, saltano rotula e tendine rotuleo in una botta sola.

Un colpo di per sé tremendo, che diventa quasi tragico quando, nel mese di Luglio scorso, dopo aver perso l’intera stagione calcistica, gli esami evidenziano un nuovo distacco osseo con la necessità di prolungare lo stop.

«Se subito dopo il primo infortunio l’unica cosa a cui pensi è rientrare il prima possibile, dopo la nuova diagnosi regna lo sconforto», ricorda Federico. «Ammetto di essermi un po’ buttato giù, sul momento, ma alla fine ha prevalso la voglia di rimettermi in piedi. E tornare a calcare i campi dopo un anno e quattro mesi è una sensazione fantastica. Adesso, spero di ripagare chi mi è stato vicino in questo periodo così lungo, come la mia fidanzata e la mia famiglia, sempre al mio fianco, e il mio procuratore Angel Ruiz, che mi ha dato la possibilità di rimettermi in gioco. Allo stesso tempo ringrazio l’equipe che mi ha rimesso in piedi, dal chirurgo del CTO di Firenze Guido Berti, a Simone Capaccioli e Gabrio Niccolai, i fisioterapisti che mi hanno seguito».

 

Un pallone per un Sorriso

Federico, comunque, non si è perso d’animo, e sfruttando una serie di conoscenze nel mondo del calcio, insieme al fratello e alla fidanzata Elisa ha fondato Un Pallone Per Un Sorriso. Un progetto tramite il quale vengono raccolte e poi vendute le magliette dei calciatori professionisti e il cui ricavato, poi, viene interamente donato in beneficenza.

«Un’idea nata mentre mi trovavo in ospedale, e avevo di fronte a me persone in condizioni di salute ben più gravi della mia. Allora, avendo la fortuna di conoscere molto bene calciatori come, su tutti, Pucciarelli dell’Empoli, Bocalon dell’Alessandria e Faragò del Cagliari, abbiamo lanciato quest’iniziativa. Oggi, grazie allo spargimento della voce nell’ambiente calcistico, sta portando ai primi, ottimi risultati. Ad esempio, nel 2017, abbiamo permesso ad un ragazzo napoletano affetto da tetraparesi spastica di assistere alla partita di Champions tra Napoli e Real anche quando i biglietti sembrano introvabili. E i ringraziamenti giunti dai genitori ci spingono ad andare avanti, anche adesso che sono in Mongolia. Io cerco di tenere i contatti, mio fratello e la mia ragazza si prodigano in prima persona in Italia».

 

Io, tu e Gengis Khan: il calcio in Mongolia

Già, la Mongolia. Come detto all’inizio, è questa la patria della nuova avventura calcistica di Federico Zini.

Una terra che, al netto della posizione numero 197 della selezione nazionale nel ranking FIFA, sta investendo per crescere nel calcio. E ne è chiaro esempio proprio l’Ulaanbaatar City, che sta costruendo un nuovo stadio di proprietà con posti a sedere interamente coperti. Non poco, in un campionato nel quale, eccetto la plurititolata Erchim, altra squadra con impianto tutto suo, e il Khangarid, tutte le squadre giocano al MFF Football Center, sito nella capitale.

«È stata proprio la fame della società a convincermi a firmare, dopo le prime titubanze. Le grandi ambizioni di una proprietà che vuole vincere tutto in patria, puntando a fare bella figura, in futuro, nella Champions asiatica, hanno fatto il resto. L’ambiente è carico, con una squadra ben costruita, nella quale figurano ben sei nazionali locali, due dei quali provenienti dalla grande rivale Erchim. In più, siamo stati inseriti io e l’altro italiano Mauro Boerchio, portiere ex Bari, oltre ad un ragazzo russo. Il fatto che, inoltre, alla guida della squadra ci sia un tecnico spagnolo (Manuel Retamero, ndr), ha favorito la nostra integrazione sia negli schemi di gioco, sia nello spogliatoio, dove siamo stati accolti benissimo».

 

In bocca al lupo, Federico

Passato il lungo e rigido inverno («Adesso la temperatura, prossima allo zero, è quasi accettabile, rispetto al -6 di qualche giorno fa accompagnato da un vento gelido che spezza le ossa», sottolinea Federico), ad Aprile inizierà il campionato. E, finalmente, ricomincerà una carriera fermatasi un maledetto giorno di fine 2015, con la voglia di tornare a misurarsi in competizioni di maggior spessore. Perché no, tornando nuovamente in Italia. «È sempre casa mia, laddove ho tutti i miei affetti. È chiaro che mi piacerebbe tornare, ma adesso penso a riprendermi al 100% e fare bene qui».

E qui, all’estrema periferia dal calcio, a migliaia di chilometri da San Miniato e dalla sua Elisa «che, a volte, mi capita di poter chiamare solo alle 4 di notte locali, quando esce dal lavoro, perché abbiamo orari inconciliabili», magari Federico tornerà a far tremare una rete che, per lui, è immobile da sin troppo tempo. Ritrovando, in prima persona, quei sorrisi che sta cercando di regalare agli altri.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *