

Un intreccio di storie attorno al primo grande campione dell’Africa nera. Raymond Tshimen Bwanga, colui che portò lo Zaire ai Mondiali prima che il mondo scoprisse gli indomabili leoni camerunensi e le Super Aquile nigeriane. E il cui mito è stato parzialmente anestetizzato da un allontanamento del pallone a gioco fermo…
Noi, l’Africa, il calcio
Io, del TP Mazembe, ho sentito parlare per la prima volta nel 2010.
Sono propenso a credere che un buon 90% di voi abbia vissuto la stessa esperienza. Da un lato c’era l’Inter del Triplete, e dall’altro questa squadra congolese che poteva giusto essere felice di essere il primo team africano a raggiungere la finale del Mondiale per Club. La storia la sapete: andiamo avanti.
Io, quando penso all’Africa e al calcio, ho in mente il Camerun, la prima nazionale dell’Africa nera a competere veramente a un Mondiale. Uscendo con tre pareggi, ma imbattuta, a Spagna 1982 e quasi eliminando l’Italia futura campione del mondo. Ho in mente la Nigeria, la prima squadra africana a vincere un titolo internazionale, con l’oro olimpico del 1996 e un certo Jay Jay Okocha in campo. Ho in mente il Ghana e la sua tradizione di brasiliani d’Africa. Al limite, ho in mente la Liberia, perché ci ha regalato il primo (e finora unico) calciatore africano vincitore del Pallone d’Oro in Europa e tanti altri talenti, seppure difendano i colori di altre nazionali.
Questo per dire che, per noi bianchi, il calcio in Africa non indossa i colori della Repubblica Democratica del Congo.
Eppure, non solo hanno avuto il primo club in finale di un Mondiale, ma quando ancora si chiamavano Zaire furono la prima squadra dell’Africa sub-sahariana a disputare una Coppa del Mondo. Germania 1974, quel famoso e tanto ridicolizzato – ma tutt’altro che ridicolo – calcio di Mwepu Ilunga al pallone destinato a una punizione di Rivelino. All’epoca non sapevamo che, prima della partita col Brasile, il presidente Mobutu li aveva tutti minacciati di morte se avessero subito più di tre gol…
C’era una volta Bwanga
Zaire, 1949. Anzi, Congo Belga. Da qualche parte nel paese nasceva Joseph Mwepu Ilunga, futuro terzino destro del Mazembe e della nazionale, ma questa non è la sua storia.
Nello stesso anno, a Elisabethville, una città circondata da miniere di rame nel sud-est del paese, nasceva Raymond Tshimen Bwanga. E nella stessa città, dieci anni prima, un gruppo di benedettini aveva fondato il Football Club St. Georges, che col tempo avrebbe assunto il nome di Tout Pouissant Mazembe, l’onnipotente Mazembe. Fatte le dovute proporzioni, il nuovo nome è decisamente appropriato. A partire dagli anni Sessanta, in seguito all’indipendenza, il Mazembe s’impose come la principale potenza calcistica del paese e una delle più forti del continente.
Se fino adesso ho dato l’impressione di stare girando attorno a qualcosa come un pescecane è perché bisogna avere ben presente l’obiettivo, prima di puntarlo.
Esiste un legame profondo e indissolubile tra queste tre entità. Lo Zaire, il TP Mazembe e Tshimen Bwanga, che oggi è noto come il più grande calciatore congolese di sempre. Alla fine, il gesto folle e ribelle di Mwepu Ilunga col Brasile ha finito per oscurare, qui in Europa, la fama del centrocampista difensivo che fu suo compagno di squadra sia in nazionale che al club.
Mediano duttile e a tutto tondo, come potevano esserlo solo i giocatori di talento calati in un ambiente tecnicamente non alla loro altezza. Da quel poco che si trova sul suo conto, pare infatti che Bwanga avrebbe potuto giocare in qualunque ruolo ed essere, sempre e comunque, decisivo.
Bwanga e Kazadi, amici fraterni
Ovunque, eccetto (forse) il portiere. Perché lì c’era Robert Mwamba Kazadi, uno di quei numeri 1 incazzosi e severi come allenatori. Una volta, vedendo Bwanga giochicchiare senza troppo impegno in una partita abbastanza tranquilla, gli andò incontro mollandogli un ceffone in mezzo allo stadio.
Qualche anno dopo, il mondo vide Kazadi uscire in lacrime dopo soli venti minuti della partita contro la Jugoslavia, dopo aver preso tre gol. Mobutu aveva telefonato al tecnico Vidinic per ordinargli di sostituirlo. Finì 9 a 0.
Bwanga e Kazadi erano ancora dei ragazzi quando, nella seconda metà degli anni Sessanta, portarono il Mazembe a trionfare nell’allora giovanissimo calcio africano. Vincendo titoli in patria e fuori, come le due Coppe dei Campioni d’Africa nel 1967 e nel 1968, e raggiungendo di nuovo la finale nei due anni successivi.
Un’amicizia fraterna tra i due, sin dall’età infantile, quando Bwanga convinse Kazadi, di due anni più vecchio, ad aggregarsi in squadra per sostituire il portiere infortunato. Questo fece talmente bene che, poco tempo dopo, era già stato promosso in prima squadra. Di contro, Bwanga ha sempre sostenuto che se non fosse stato per Kazadi non avrebbe mai sviluppato il suo carattere gentile e positivo, che gli permetteva di trasformare ogni critica in un’occasione per migliorarsi.
L’alba del calcio africano
Nel 1974 Bwanga fu uno dei protagonisti della seconda Coppa d’Africa vinta dallo Zaire, nella quale si prese il lusso di eliminare in semifinale i padroni di casa dell’Egitto, prima di superare lo Zambia. Solo un anno prima lo avevano premiato con il Pallone d’Oro africano e, dopo la coppa, giunse la prima storica occasione di disputare la fase finale del Mondiale.
Dopo un lungo percorso chiuso all’antivigilia del Natale 1973 con una vittoria a tavolino in Marocco, già qualificatosi per il torneo di quattro anni prima in Messico, lo Zaire riuscì nell’impresa di trovare posto al tavolo delle migliori al mondo nel Mondiale tedesco. Un’avventura che si chiuderà con 3 sconfitte e l’episodio di Mwepu Ilunga di cui sopra, ma che è di fatto rimasta nell’immaginario collettivo.
Forse le storie dei campioni si assomigliano un po’ tutte, e l’eccezionalità sta più nei loro piedi che nelle loro vite. Poi c’è quello che rappresentano, ciò che sta oltre il talento e i risultati, ed è una cosa che si misura col tempo e che, se non viene dai paesi dell’élite del calcio mondiale, rischiamo di perderci per strada. Kazadi è morto nel 1996, Mwepu Ilunga nel 2015, ed è stato lungamente e adeguatamente ricordato e rivalutato.
Però oggi io, quando penso al Mazembe, all’Africa e al calcio, penso anche a Raymond Tshimen Bwanga. Perché tutto, in un certo senso, è partito da lui.
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