

Avete mai sentito parlare della scarsa qualità di un calcio cinese che pure, in teoria, può contare su un bacino d’utenza pari a un sesto della popolazione mondiale? Dong Fangzhuo, colui che sembrava più vicino di altri a riscattare l’immagine dell’intero movimento, è sprofondato sotto il peso delle aspettative prima, della vergogna poi…
Dong Fangzhuo, la Cina sulle spalle
Tante volte, noi di Football Pills abbiamo parlato degli stadi europei. Non solo come impianto nel quale si svolgono eventi sportivi o manifestazioni su larga scala, dall’ambito musicale a quello religioso passando per la politica. Ma anche, e soprattutto, come fonte di emozioni, di aneddoti che si tramandano ormai da decenni.
Uno di questi impianti, in particolare, è stato soprannominato dal grandissimo Bobby Charlton, quasi in maniera evocativa, The Theatre of Dreams, il teatro dei sogni. Chiunque mastichi un po’ di calcio inglese non può non collegare il nome del giocatore e il soprannome dello stadio ai Red Devils, il Manchester United, e al glorioso Old Trafford. Dentro le cui mura sono state scritte alcune tra le pagine storiche del calcio d’oltremanica, nonché di quello internazionale.
Adesso immaginate di non essere semplicemente parte del magico spettacolo che dagli spalti trascina i Diavoli Rossi sul prato verde. Immaginate di essere voi stessi i protagonisti, con credenziali enormi sul vostro conto. E addosso, soprattutto, più di due miliardi di occhi, quelli del popolo cinese. Una nazione che, a livello sportivo, fino a quel momento li aveva volti a ovest solo per il cestista NBA Yao Ming.
Più o meno, furono queste le sensazioni provate dall’attaccante Dong Fangzhuo, classe ’85, quando venne tesserato dal Manchester United nel 2004. L’inizio di un sogno che, presto, finirà per tramutarsi in uno spaventoso incubo.
L’esplosione e l’approdo in Europa
La storia di Fangzhuo, questo il suo nome (in Cina, infatti, nella nomenclatura classica il cognome va in testa) parte dalla madrepatria. Una Cina ancora lontana parente, nel mondo calcistico, dalla realtà attuale. Dong muove i primi passi nella squadra cittadina del Dalian Saidelong. A soli 17 anni, con i suoi gol, trascina la squadra dalla Serie B locale alla massima serie, quanto basta per attirare le attenzioni dei top club europei.
Nella stessa estate in cui la Cina partecipa al suo primo Mondiale, quello nippo-coreano del 2002, lontano dagli echi della manifestazione si apre la caccia al giocatore. La minore età del ragazzo, però, suggerisce una tappa intermedia al Dalian Shide prima di valicare gli Urali e oltrepassare la Manica. Nel Gennaio del 2004, infatti, lo United chiude una trattativa di fatto iniziata 18 mesi prima e tessera Dong. Tra il clamore di chi, pur intravedendo buone doti, parla di un’innegabile mossa commerciale.
Le immediate ambizioni del giocatore, stracoccolato dalla stampa cinese, si scontrano sin da subito con le rigide regole che regolano i contratti di lavoro in terra britannica. Le zero presenze maturate in nazionale, infatti, costringono il giovane calciatore a un prestito triennale all’Anversa, squadra satellite del club inglese, in attesa di tempi migliori. L’impatto con il calcio europeo è più che buono per Fangzhuo, che, nonostante la retrocessione del suo club, sigla una rete in nove presenze nella metà stagione passata in Belgio. Poi, complice il minor livello della serie cadetta, migliora il suo score nella seconda, arrivando a marcare il cartellino per sette volte in ventidue gare.
Il tanto agognato permesso di lavoro (col giallo)
Molto più esponenziale della crescita sul campo è quella mediatica del nuovo simbolo del calcio cinese. In patria Dong Fangzhuo è già una conclamata star. Ad aumentare la sua fama sono la prima convocazione con la Nazionale e la rete siglata ad Hong Kong, con la maglia dello United, in un’amichevole precampionato contro una selezione del campionato locale.
Siamo nell’estate del 2005. Quella che precede, sempre ad Anversa, la migliore stagione della sua carriera. Con 18 reti Dong vince la classifica cannonieri e conclude la stagione con l’ennesima tournée col Manchester. Non basta, però, per ottenere il permesso di lavoro e sbarcare definitivamente in Inghilterra. La strada più semplice consiste risiedere ulteriori sei mesi in Belgio per ottenere la cittadinanza del posto. Mossa che, tuttavia, lo costringerebbe, secondo le norme cinesi, a rinunciare a quella della nazione natia.
Lo scontro tra le ambizioni di carriera di Dong e il sogno cinese di ottenere risultati migliori grazie alla propria stellina si risolve nel Gennaio 2007. L’ottenimento del tanto agognato permesso per meriti sportivi, grazie alle presenze con la maglia della Cina, non rende necessario alcun tipo di scelta. È ora di vestire la muta dei Red Devils.
L’esordio di Dong all’Old Trafford
The Chinese goal-machine o The Chinese Rooney sono solo alcuni degli appellativi che accolgono Dong alla corte di Sir Alex Ferguson. L’attesa di vedere all’opera il tanto discusso talento del ragazzo è preceduta da 4 mesi di ambientamento, allenandosi con Giggs e compagni e giocando tra le riserve. Va in panchina, per la prima volta, nell’andata dei quarti di finale di Champions contro la Roma. Ripete la presenza tra i diciotto al ritorno, nel celebre match vinto per 7-1 dai suoi, e nella semifinale d’andata contro il Milan.
La vittoria del campionato, ottenuta quattro giorni dopo l’amara eliminazione dalla Coppa dei Campioni per mano degli altri diavoli, quelli rossoneri, rende propizia l’occasione dell’esordio. Nella prestigiosa cornice di Stamford Bridge, in una squadra imbottita di seconde linee, Dong gioca 73 minuti contro il Chelsea, senza lasciare troppe tracce.
Sarà la prima di tre sole presenze. Arriverà l’unica per 90 minuti, all’Old Trafford in Coppa di Lega, ricordata più per la clamorosa sconfitta subita contro il modesto Coventry City che per la sua prestazione. Poi l’ultima, all’Olimpico di Roma, in una notte di Champions. Particolare che rende Dong Fangzhuo il secondo cinese a giocare nella massima competizione europea per club dopo Sun Xiang del PSV. Subentrando a Rooney, quello vero.
La lunga discesa, gli sfottò e la chirurgia
Lo stesso stadio in cui, per la prima volta, Dong Fangzhuo sedette a bordo campo con la maglia del Manchester, chiude di fatto la sua esperienza allo United. Il calciatore passa i primi sei mesi del 2008 con la squadra riserve. Se il gol alle Olimpiadi di Pechino, l’unico della Cina nella competizione, sembra poter ridargli luce, Ferguson chiude ogni porta. Perso, se mai ci fosse stato, ogni genere di fiducia, il 28 Agosto lo staff del Manchester concorda con la rescissione consensuale del contratto con l’entourage del calciatore. Dong è ormai in caduta libera, dando adito alle parole di chi diceva che il suo acquisto fosse una mossa atta solamente a generare introiti.
Il ritorno in patria, al Dalian Shide, si chiude con un laconico zero nel tabellino dei marcatori. Da lì inizierà un lento girovagare in Europa. Polonia (Legia Varsavia) e Portogallo (Portimonense) sono tappe avare di soddisfazioni. Va un po’ meglio in Armenia, al Mika, dove dopo cinque anni di astinenza ritrova la via della rete in campionato.
Lontano dai riflettori dell’Old Trafford e del calcio di alto livello, uno svogliato Dong Fangzhuo diviene la controfigura del volto che campeggiava sui cartelloni pubblicitari di Pechino e Shanghai. A proposito di volto: dopo un’anonima chiusura di carriera in patria, nel 2016 Dong ha partecipato a un reality show cinese. Né GF Vip, né Isola dei Famosi di turno, ma un programma TV legato al mondo della chirurgia estetica nel quale l’ex calciatore ha richiesto il cambiamento di alcuni tratti somatici del viso. L’ultimo tentativo di sfuggire ai sempre più frequenti sfottò di chi lo riconosceva per strada, l’ultima umiliazione che, in fondo, era solo il negativo di quei rullini che tante volte lo avevano visto ritratto.