Julio Cesar Benitez, una tragica morte prima del Clasico

Julio Cesar Benitez morto Barcellona Real
Julio Cesar Benitez, il calciatore del Barcellona deceduto per un’intossicazione alimentare il giorno prima del Clasico ’68 (fonte: fcbarcelona.com)

Un difensore arcigno, idolo della tifoseria del Barcellona per la sua abilità nel contrastare l’arcirivale Gento, stella del Real Madrid. Julio Cesar Benitez, ironia della sorte, morirà il giorno antecedente un Barça – Real decisivo ai fini della classifica, in quel 1968 anno di ribellione in ogni angolo d’Europa.

Il Barcellona, il derby e il regime franchista

Barcellona – Real Madrid è la Partita con la P maiuscola nell’immaginario collettivo della Liga spagnola. Una partita da sempre simbolo della contrapposizioni non solo sportive, ma anche ideologiche. Da una parte il sentimento indipendentista catalano, mai sopito nel tempo, come dimostrato dal referendum di fine 2017. Dall’altra, la fedeltà – nomen omen – alla corona della squadra della capitale.

Una rivalità che, al netto di quanto accaduto ai giorni nostri, toccò il picco durante il regime franchista. Il caudillo, infatti, respinse con fermezza ogni tentativo eversivo sia in Catalogna che nei Paesi Baschi, da sempre le due regioni più calde della penisola iberica. Non a caso, Barça e Athletic Club Bilbao divennero, in quegli anni, le vere e proprie nazionali di quei territori che avevano nei principali club calcistici il simbolo di un’evasione, pur temporanea, dalle imposizioni dittatoriali.

Non solo: anche le lingue locali subirono forti restrizioni. Il castigliano divenne l’unica lingua tollerata nell’intero suolo spagnolo. Non è casuale, infatti, che in epoca franchista il Camp Nou venne denominato Estadio del CF Barcelona per imposizione del potere centrale, eliminando la nomenclatura catalana. E, allo stesso tempo, Franco diede un tocco di potere autoritario in più denominando Coppa del Generalissimo la competizione nazionale oggi nota come Coppa del Re.

 

La crisi del calcio iberico

L’Europeo del 1964 segnò il termine del più grande e vincente ciclo spagnolo in campo internazionale. Il ritiro delle stelle Di Stefano e Puskas, su tutti, aveva indebolito il Grande Real capace di vincere le prime cinque edizioni della Coppa Campioni. In casa Barcellona, invece, il peso dell’addio al calcio di Kubala e della partenza di Suarez verso l’Italia non ebbe un adeguato contrappeso in sede di nuove leve.

La nazionale subì il contraccolpo maggiore, con l’epoca più buia del proprio calcio. Il Mondiale del 1966 si chiuse con un’amara eliminazione ai gironi, preludio a 12 anni nei quali la Spagna non ottenne alcuna qualificazione né alla Coppa del Mondo, né agli Europei.

Così, nel 1968, la penuria di nuovi grandi giocatori nel calcio spagnolo e nei due principali club della Primera Division elevava al ruolo di stelle il trentenne Chus Pereda tra i blaugrana e l’ormai trentacinquenne Gento in casa Real. Quest’ultimo, capitano dei blancos, era di fatto il giocatore più odiato dalla tifoseria del Barcellona. Il gioco delle coppie, al contrario, rendeva idolo delle folle il giocatore deputato alla sua marcatura in ogni clasico, a partire dal 1961. Anno in cui, dal Real Saragozza, approdò in Catalogna l’arcigno difensore uruguagio Julio Cesar Benitez.

 

Julio Cesar Benitez, l’incubo di Gento

Elegante, tecnicamente dotato e potente, senza disdegnare quella garra che si rendeva necessaria nei match più sentiti. Furono queste le caratteristiche che, in breve tempo, resero Julio Cesar Benitez uno dei calciatori più amati del Camp Nou. La sua duttilità tattica, oltretutto, lo rese pedina di indiscutibile importanza nello scacchiere blaugrana. Unica pecca, se vogliamo, quel temperamento fin troppo passionale che, sul campo da gioco, lo rese soggetto a numerosi provvedimenti disciplinari. Un peccato veniale per i tifosi, ai quali bastava la sua presenza in campo proprio per frenare Gento. Il quale, si narra, temeva terribilmente la fisicità del dirimpettaio.

Nella stagione 67/68, a quattro giornate dalla fine, il Real comandava la classifica della Primera Division con appena 3 punti di vantaggio sul Barça. Con l’incombenza, peraltro, dello scontro diretto che si sarebbe giocato il 7 di Aprile in terra catalana. La vittoria dei padroni di casa avrebbe di fatto riaperto il campionato, garantendo un finale di stagione al cardiopalma.

L’atmosfera, inutile sottolinearlo, è tesissima. Per il Barcellona c’è di fronte la possibilità di tornare a vincere un campionato, riscattando un decennio di povertà assoluta in termini di titoli (appena uno scudetto, una coppa nazionale e una Coppa delle Fiere in 8 anni). In più, soprattutto, c’è la possibilità di regalare al popolo catalano un motivo per cui festeggiare, a scapito del Real e del potere centrale.

 

La morte di Julio Cesar Benitez

Il 6 Aprile 1968 il Real Madrid è già di stanza nel centralissimo hotel Manila, sulle ramblas. Mentre la squadra si sta dirigendo verso il Sarrià, stadio dell’Espanyol, per sostenere una rifinitura mattutina, inizia a circolare una strana voce. Julio Cesar Benitez, il grande rivale, sarebbe morto nella notte.

Le conferme, purtroppo, non tardano ad arrivare. Il verdetto medico che giunge alle orecchie degli avversari è agghiacciante. La partita di cozze della quale si sarebbe cibato il difensore uruguagio la sera prima risulterà essere avariata. La susseguente intossicazione alimentare si trasformerà in una fulminea gastroenterite che, in pochissimo tempo, diverrà letale per il calciatore.

Scosse, le due squadre chiedono a gran voce il rinvio del match alla Federcalcio spagnola. Ma alle spalle del presidente José Luis Costa Cenzano si muovono le ingombranti manone di Francisco Franco. Il quale accorda sì un posticipo, ma di appena due giorni, giusto il tempo di celebrare le esequie del calciatore.
Un immenso plotone di 150.000 persone, al capo del quale i giocatori di entrambe le squadre, seguì il feretro di Julio Cesar Benitez sin dentro al Camp Nou, ove si svolse la cerimonia funebre. Una folla che proverà a spingere, idealmente, la squadra anche nel recupero del 9 Aprile. Le gambe dei compagni, tuttavia, sono troppo molli e non reggono il peso di una testa troppo piena di malinconia. L’1-1 finale spegnerà, definitivamente, i sogni di rimonta blaugrana.

 

La rivincita nella Finale delle bottiglie

Nel weekend successivo, vincendo tra le mura amiche contro il Las Palmas, il Real Madrid conquisterà il tredicesimo titolo nazionale della sua storia, il settimo in otto anni. Il Barça chiuderà al secondo posto, proseguendo in una serie nerissima che si chiuderà solamente con la vittoria del campionato 1973/74. Vinto con Rinus Michels in panchina e Johan Cruijff, approdato in Catalogna dall’Ajax, in campo.

Se il campionato, ancora per qualche anno, resterà ad appannaggio del Real Madrid e dei cugini dell’Atletico, non si può dire lo stesso della coppa. L’11 Luglio dello stesso anno, al Bernabeu, il Barcellona compirà l’impresa vincendo la Coppa del Generalissimo in casa del nemico blanco, proprio contro i rivali di sempre. Una partita vinta per 1-0 grazie all’autorete di Zunzunegui e che entrerà alla storia per il suo finale.

L’arbitro Antonio Rigo, accusato sin dalla vigilia di una presunta simpatia per i blaugrana, sarà contestatissimo durante tutto il match per non aver assegnato due rigori a favore dei padroni di casa per due presunti falli su Amancio e Serena. Alla rabbia della tifoseria nei confronti del direttore di gara si aggiunse il desiderio di non voler vedere il Barça alzare al cielo la coppa a pochi metri dalla residenza di Franco. Così, i circa 100.000 presenti sugli spalti, a pochi attimi dal termine, cominciarono a lanciare sul terreno di gioco delle bottiglie di vetro. Costringendo, così, l’arbitro ad un fischio finale anticipato ed evitando l’onta della premiazione a fine partita. Quel Real – Barca sarà ricordato come la finale delle bottiglie. Le quali, dal giorno successivo, saranno bandite dagli stadi spagnoli.

 

 

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