

Dal 1999 il calcio americano ha cambiato la propria concezione di sé verso il mondo esterno. Ampi meriti vanno dati a Landon Donovan, calciatore capace di far sognare un’intera generazione di statunitensi appassionatisi al calcio anche grazie alle sue gesta.
Landon Donovan, giovane yankee
C’era una volta, in America, un bambino che fin dai primi passi sentiva, dentro di sé, di essere diverso dagli altri.
L’incipit dell’articolo potrebbe farlo apparire come una favola: di fatto, lo è. Perché se a 12 anni tutti i tuoi amici hanno sogni diversi dai tuoi e tu prendi un’altra strada, realizzando il tuo, è una fiaba da raccontare e tramandare ai posteri. Nel 1994 l’adolescente americano medio appassionato di sport immagina, un giorno, di emulare Michael Jordan (o un altro Bulls) su un parquet. Oppure di fare un fuori campo con una mazza da baseball. In alcuni casi di calcare un rettangolo in erba, sospinto da migliaia di connazionali incollati davanti alla TV per seguire il Super Bowl. Solo nell’estate di quell’anno qualcuno, dopo i mondiali giocati sul suolo USA, inizia a sperare di calciare un pallone all’incrocio dei pali, magari dopo una magistrale punizione.
Landon Donovan da Ontario, California, nel 1994 gioca a calcio già da qualche anno. Eppure, quell’estate, ha una folgorazione per un certo Roberto Baggio da Caldogno, proveniente da una nazione e da una cultura distante dalla sua. Un giovane yankee che si appassiona a una disciplina che, nel suo stato, è praticata quasi esclusivamente dai migranti provenienti dagli stati centroamericani. E si concentra a tal punto sul suo sogno da diventare un calciatore con risultati mai visti, fino ad allora, dalle sue parti.
Il sogno europeo
Landon Donovan ha le stimmate del predestinato e capisce che il suo futuro è lì, su un prato verde, a deliziare le folle con le sue magie. Anacronistico per un paese nel quale, negli anni ’90, in molti campi si può contare il numero esatto degli spettatori stando comodamente seduti a bordo campo. Qualcosa, però, sta per cambiare.
In Nuova Zelanda, al Mondiale Under 17 del 1999, la nazionale americana giunge quarta. Una squadra sospinta da giocatori come Oguchi Onyewu, roccioso difensore di origini nigeriane. Oppure da DaMarcus Beasley, velocissima ala strappata al football americano a causa di un fisico troppo gracile per una disciplina estremamente fisica. Il trascinatore, però, è proprio Landon Donovan, premiato con il Pallone d’Oro della competizione. Un’impresa che vale l’interesse del Bayer Leverkusen, che lo porta subito in Germania vincolandolo con un contratto di ben 6 anni.
Il ragazzino cresce nel settore giovanile delle Aspirine dove rimarrà due anni senza riuscire, però, a esordire in prima squadra. Dopo averne forgiato fisico, carattere e conoscenze tattiche (sulla tecnica, nulla da eccepire) la società tedesca, senza troppe remore, lo rimanda in America. Il prestito ai San José Earthquakes sembra prefigurare il classico ritorno in patria del giocatore incapace di imporsi nel calcio vero. E invece…
Il sogno Mondiale
E invece in patria Landon Donovan diventa un giocatore da urlo. In tre anni agli Earthquakes l’attaccante è… un terremoto. Realizza la bellezza di 32 gol, vince per due volte la MLS e per due volte consecutive viene nominato Giocatore dell’Anno. Il palcoscenico del Mondiale 2002 lo consacra definitivamente e, soprattutto, fa innamorare diversi americani del calcio.
Sono tantissimi gli statunitensi che, in piena notte, ammirano la loro Nazionale nella sorprendente vittoria per 3-2 contro il Portogallo. Il reparto offensivo composto da Claudio Reyna, Landon Donovan e Bryan McBride (quello della gomitata di De Rossi, quattro anni dopo) fa impazzire i supporters a stelle e strisce. La vittoria contro gli storici rivali del Messico agli ottavi di finale è l’apoteosi per gli appassionati del soccer USA. Donovan fa un gol e ne sfiora almeno un altro ai quarti di finale contro la Germania, partita nella quale fa letteralmente impazzire l’arcigna difesa teutonica. La partita, però, finisce 1-0 e sono i tedeschi ad approdare in semifinale.
Il brutto anatroccolo nel quale il Bayer Leverkusen non aveva creduto fino in fondo si è trasformato in un cigno. Ma i rossoneri sono ancora proprietari del suo cartellino e a Gennaio 2015, finita la stagione MLS, Landon Donovan torna in Europa.
Donovan propheta in patria
Il compito di Donovan è rimpiazzare, almeno nel cuore dei tifosi, quell’Yildiray Bastürk che sei mesi prima aveva lasciato la Renania Settentrionale per raggiugere l’Hertha Berlino. Stesso ruolo, stesse caratteristiche tecniche, esito diverso. Il calciatore americano gioca appena 7 volte, mai pienamente apprezzato da Klaus Augenthaler, e a fine stagione chiede di tornare a casa. Questa volta, però, a titolo definitivo.
Sono i Los Angeles Galaxy ad acquisirne le prestazioni e ad assicurarsi il suo talento. Ripagati da un giocatore che creerà un trinomio indissolubile tra sé, la società e i tifosi, coronato da 4 vittorie della MLS e da 3 trofei internazionali. Una maglia, quella numero 10, che vestirà praticamente fino a fine carriera, a parte sporadici ritorni in Europa nelle pause invernali tra una stagione e l’altra.
L’unica nota dolente di una carriera perfetta, però, rimane proprio quell’incapacità di spiccare il volo lontano dalla sua patria e dagli affetti. Il primo ritorno in Europa, al Bayern Monaco nel 2009, va malissimo. Donovan racimola la miseria di 6 gettoni, senza mai segnare, e torna mestamente a casa.
Gli ultimi anni tra Europa e il mancato Mondiale
A gennaio 2010 Donovan ci riprova, scegliendo la Premier e l’ambizioso Everton. Impiegato da esterno destro di centrocampo, Landon ottiene i migliori risultati della sua carriera nel Vecchio Continente. In 10 partite realizza 2 gol, ma soprattutto dispensa quattro assist decisivi e viene inserito nella formazione del mese, ribaltando la stagione fin lì negativa dell’Everton. Visti i risultati, i Toffees provano a prolungare il prestito fino a fine stagione, trovando però l’opposizione dei Galaxy, che mirando al titolo nazionale lo riportano in America.
A Liverpool, però, non sono tipi molto arrendevoli. Nel 2012, sempre a gennaio, Donovan torna in prestito nel periodo della solita pausa invernale americana. Pur rimanendo a secco dal punto di vista realizzativo, in 9 partite colleziona la bellezza di 7 assist decisivi.
Donovan continuerà a giocare ai Galaxy fino al 2014, anno in cui arriva la cocente ed enorme delusione. Jurgen Klinsmann, allenatore della nazionale, lo esclude dalla rosa dei 23 partecipanti al mondiale brasiliano. La condizione non è delle migliori e a pagare è quello che, con il ritiro dal calcio a fine anno, verrà denominato ugualmente il miglior giocatore americano di tutti i tempi. Tornerà a giocare una manciata di partite sempre ai Galaxy, nel 2016, e al Leon (Messico) nel 2018.
Senza cadere nell’esagerazione, possiamo dire tranquillamente che nel calcio degli States esiste un periodo pre-Donovan e un post-Donovan. Lan ha cambiato il modo di intendere il calcio in un paese che, prima di lui, ha raramente apprezzato la disciplina. Donovan ha creato un mito, un sogno al quale aggrapparsi per i giovani americani appassionati di questo sport. Una leggenda, in tutti i sensi.