I grandi numeri 10: Juan Roman Riquelme, Boca e amore

Riquelme numero 10 Boca
Juan Roman Riquelme, storico numero 10 del Boca Juniors (fonte: juanromanriquelme.com)

“El ultimo Diez”, l’ultimo dieci. Dietro il soprannome di Juan Roman Riquelme si racchiude l’essenza del calciatore in grado di fare faville in patria e, a tratti, anche fuori, nell’esperienza spagnola. Una storia d’amore col Boca Juniors che, racchiude, al suo interno, altri innamoramenti folli di chi ne ha apprezzato, profondamente, le gesta.

 

Juan Roman Riquelme e il connubio col pallone

«Ho riportato l’Argentinos in Primera, era un mio dovere perché lì, in Segunda, non era il suo posto. Adesso però dico basta con il calcio. Non potrei mai scendere in campo alla Bombonera con una maglia che non sia quella azul y oro».

Ci ha lasciato così, Juan Roman Riquelme. Con queste poche parole, uno dei più grandi Diez della storia del futebol argentino ha sentenziato il suo addio al calcio. Ma del resto, c’era da aspettarselo. Di parole, El Mudo, non ne ha mai sprecate troppe.

Lui preferiva parlare sul campo, con quel pallone che lui trattava come un figlio. «Ci sono pochi punti fermi nella mia vita», dirà in una delle rare dichiarazioni alla stampa. «La mia famiglia, i miei fratelli, mia moglie e i miei figli. Il pallone sta più o meno al loro livello».

E il pallone, per lui, è stato veramente qualcosa di speciale. Lo baciava prima di ogni calcio di punizione, lo accarezzava leggermente con la suola, lo faceva passare tra le gambe degli avversari con la stessa naturalezza con la quale noi comuni mortali ci infiliamo le scarpe. Lo omaggiava disegnando autentici capolavori che spesso si infilavano sotto l’incrocio dei pali, oppure sulla testa o sui piedi di qualche compagno che con il gol aveva un feeling maggiore del suo. In qualunque modo, in 20 anni di carriera, Riquelme si è sempre sentito al sicuro con un pallone tra i piedi. E, oseremmo dire, viceversa.

 

Argentinos Juniors e Boca Juniors, le storie d’amore di Riquelme

Più che una normale carriera, quella di Riquelme è stata una vera e propria storia d’amore. L’Argentinos Juniors è stata la prima cotta, quella avuta da ragazzino, che ti ha fatto perdere la testa e che resterà impressa per sempre. Nonostante non sia stata ricambiata. Juan Roman resta tre anni nelle giovanili, senza mai mettere piede in prima squadra. Un cuore infranto che risanerà i suoi pezzi solo quasi 20 anni dopo, quando l’amata torna a farsi sentire per un brevissimo, ma intenso, ritorno di fiamma.

L’Argentinos è retrocesso in Segunda, mentre a Roman non viene rinnovato il contratto con il Boca. A quel punto, decide di tornare a vestire la maglia biancorossa, quasi a chiudere un cerchio aperto da ragazzino. Segna 5 gol in 18 presenze, calandosi, con la solita umiltà che lo ha contraddistinto, in una categoria che non meriterebbe nemmeno lontanamente il suo talento. Porta a termine il suo compito, riporta l’AJ in Primera e poi dice basta. Non avrebbe mai potuto presentarsi in casa dell’amore di una vita mano nella mano con un’altra.

Il Boca Juniors, in fondo, è stata per Riquelme la donna con la quale ha deciso di condividere i momenti più belli della sua carriera. Con gli xeneizes ottiene le vittorie più importanti e belle, peraltro ereditando la dieci da quello che probabilmente è stato il più grande Diez della storia. Diego Armando Maradona.

Nel 1998 si chiude la carriera del Pibe de Oro e si apre, ufficialmente, l’epopea di Roman, che nel frattempo aveva vissuto due anni all’ombra dell’idolo di almeno due generazioni di argentini. Ne eredita la casacca più importante, ma soprattutto il ruolo in campo e fuori. Quello di leader e icona per i tifosi, con i suoi modi, col suo talento e con la sua classe.

 

Il biennio terribile del Boca Juniors

Riquelme inventa, Palermo finalizza, Samuel è il muro invalicabile davanti al portiere Cordoba, mentre Schelotto schizza sulla fascia. Una gang, calcisticamente parlando, che si sgretolerà trascinata dal vento europeo, pur avendo lasciato non tracce, ma veri e propri solchi, del proprio passaggio.

E Carlos Bianchi è lì, in panchina, a guidare una banda di ragazzi che sognano, tutti insieme, di scalare il mondo. Ma, da buon sherpa del calcio, il tecnico sa che il punto di partenza della scalata è sempre casa propria. Nel biennio 1998-2000, il Boca domina, come non si vedeva da tempo. In patria, con il trittico Apertura/Clausura/Apertura e una striscia micidiale di 40 partite senza sconfitta, e fuori, con la vittoria della Libertadores.

Manca l’ultimo tassello, quello che sancisce la consacrazione di Riquelme tra i grandi. La finale dell’Intercontinentale del 2000 a Tokyo. Di fronte, il Real dei Galacticos, dei Figo, dei Raul, dei Roberto Carlos, dei Guti, dei Casillas, e tanti altri.

Ma quella notte le uniche due stelle a brillare nel firmamento giapponese sono quella di Martin Palermo, autore della doppietta decisiva nei primi 5 minuti del match, e quella di Juan Roman Riquelme. Che non segna, ma manda in tilt la coppia Makelele – McManaman, designata alla marcatura. E, con un colpo da flipper, lancia verso la gloria, da oltre quaranta metri, il finalizzatore della manovra, quel numero 9 del quale già abbiamo parlato decantandone le lodi.

 

Trascinato dal vento spagnolo

Ma, come dicevamo, la corte spietata delle dame europee è troppo forte. Quasi metà della rosa si lascia abbindolare e parte verso il vecchio continente. Juan Roman resiste, diversamente da molti, vince un’altra Libertadores contro il Cruz Azul e poi, nell’estate del 2002, cede alle provocanti lusinghe che il Barcellona gli fa da almeno un anno.

Il richiamo della Spagna, forse l’unico campionato in Europa che può esaltare il suo estro, anziché reprimerlo nel troppo fisico calcio britannico o nel troppo tattico calcio italiano, lo spinge a tradire il grande amore. Ma con la maglia blaugrana scoprirà che l’ammaliante icona che lo ha sedotto nasconde l’ostracismo di una discutibile e rude personalità. Quella di Louis Van Gaal, che in breve tempo tenta di sopprimere una personalità tanto esuberante sul campo, quanto schiva fuori.

«Con la palla al piede sei il miglior giocatore al mondo, senza ci fai giocare in dieci», gli dirà, bocciandolo in tronco già dopo poche settimane.

È ancora troppo presto per riavvicinarsi alla vecchia fiamma, così l’anno Riquelme va al Villareal. Un nuovo amore che durerà 4 anni nei quali Roman farà impazzire i tifosi del Sottomarino Giallo. E trascinando la squadra fino a una semifinale di Champions nel 2006 persa a testa alta, altissima, soltanto ai rigori contro l’Arsenal, proprio con un suo errore decisivo.
Qualche giorno dopo, però, si toglierà l’ultima vera soddisfazione europea. Nell’ultima gara di Zidane con la maglia del Real, poco prima del (triste) epilogo di una gloriosa carriera con l’espulsione in finale mondiale che tutti ricorderete, il fantasista francese, a fine partita, gli chiederà di scambiare le divise. Nel post-gara, Zidane si dichiarerà onorato di ritirarsi potendo stringere la maglia di Riquelme tra le mani.

 

Il ritorno a casa, al Boca

Trascorrono solo sei mesi, infatti, e arriva il momento in cui la provocante e dirompente Spagna, per mezzo del tecnico cileno Pellegrini, sbatte fuori di casa Riquelme. E gli farà capire che la liaison è finita: il segnale ultimo della rottura è l’inserimento fuori rosa.

Così, non resta altro che la strada verso l’Argentina. La donna della sua vita, il Boca, lo perdona e lo riabbraccia, riportandolo a casa. E il ritorno è dolce, coronato da sette stagioni di idillio e ricambiando l’affetto della Bombonera con una semplice scritta sulla maglia. Roman, perché lui, in fondo, si sente alla pari con chi lo osanna.

Manca solo un passaggio, per passare da idolo a leggenda. Maradona, col quale i rapporti non sono mai stati idilliaci, diviene CT della Seleccion e decide di farlo fuori dal giro della nazionale. Il popolo xeneizes si schiererà apertamente contro el Pibe e accanto a El Mudo, segnando definitivamente, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’atto del passaggio della corona da Diego a Riquelme.

 

Il finale di carriera

Il resto, ve l’abbiamo già raccontato. Nel 2012 Angelici si oppone all’ultimo rinnovo e lui se ne va, con il suo solito stile. Per regalare l’ultima stagione della sua carriera all’Argentinos Juniors, fino al ritiro.

Così, Riquelme esce di scena, e lo fa in maniera tanto composta, quanto clamorosa. Che poi, è anche una riduzione, un riassunto di un tipo di giocatore definito l’ultimo Diez, perché modello di una generazione di numeri 10 in estinzione.
La compostezza di un’andatura lenta, di uno sguardo quasi perso nel vuoto e di un modo di fare introverso mixato con autentici capolavori di pittura calcistica, colpi di genio allo stato puro. Come dirà Jorge Valdano, «chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un’autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi».

Se non si fosse capito, l’amore di Riquelme verso il Boca è direttamente proporzionale a quello che ho trovato io, sin da bambino, per questo giocatore. Per questo, voglio chiudere questo pezzo con quella che, secondo me, è la frase più bella di tutte su Roman, detta da uno che con il pallone tra i piedi può fare veramente ciò che vuole, don Andrés Iniesta. «Leo Messi è il giocatore più forte del Mondo, ma Riquelme è fuori concorso».

Grazie di tutto, Roman.

 

 

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