I grandi numeri 10: Harry Kewell e i suoi tiri mancini

Kewell Australia number 10
Harry Kewell e il suo numero 10 in Nazionale (fonte: foxsports.com.au)

Il talento più fulgido che sia mai nato in Australia. Un mancino preciso e potente che, nonostante i conti con la sfortuna, ha vinto per tre volte il titolo di calciatore oceanico dell’anno. Harry Kewell, infatti, non è emerso come sperato, limitato dai tanti infortuni che lo hanno condizionato in carriera.

 

Passare alla gloria senza vincere: il Leeds di O’Leary

Spesso nel calcio, così come nella vita di tutti i giorni, si dice che la storia la scrivono i vincitori. E che del resto, gli sconfitti, non rimanga molta traccia.

Concetto in parte vero, senza dubbio. Ogni albo d’oro che si rispetti contempla solo coloro che, oltre alle coppe e ai trofei, vengono arrogati degli onori e della gloria. Ci sono però delle situazioni, delle squadre, dei giocatori e dei tecnici che, nonostante il destino avverso, alla storia ci passano comunque. E lo fanno nonostante non riescano a vincere nulla.

È il caso, per esempio, del Leeds United di David O’Leary. Una squadra formidabile costruita con un collettivo che, negli anni, è rimasto impresso nella memoria di tutti i veri appassionati di calcio. Nonostante quel Leeds, in fondo, abbia fatto tutt’altro che un’incetta di successi.

Una squadra composta da uno dei mancini più educati ed esplosivi dell’epoca, quello dell’irlandese Ian Harte. Una coppia difensiva centrale giovane e formidabile composta da Rio Ferdinand e Woodgate (una delle scommesse più clamorosamente perse del panorama calcistico britannico). A centrocampo, Lee Bowyer, genio e sregolatezza e capace tanto di giocate fenomenali quanto di pazzie assurde. Per chiudere, infine, un potenziale offensivo coi fiocchi. Un emergente Robbie Keane, un Alan Smith sopra le righe, il goleador Mark Viduka e il funambolico e fantasioso connazionale Harry Kewell. Probabilmente, il giocatore australiano più talentuoso e forte di sempre (non a caso, eletto Calciatore dell’Anno dell’Oceania per tre volte).

 

Harry “the Jewel” Kewell

La carriera di Kewell, figlio di un funzionario inglese e di una donna australiana, inizia al Marconi Stallions, squadra di matrice italiana già teatro delle prime esperienze calcistiche di un giovanissimo Christian Vieri.

Il punto di svolta arriva nel 1994 quando, a 15 anni, sostiene e passa un provino per il Leeds United insieme al connazionale Brett Emerton. Il quale, però, dovrà attendere qualche anno per giocare in Inghilterra. Nove, per la precisione, saranno necessari per esordire in Premier tra le fila del Blackburn Rovers, nel 2003.

Infatti, a causa dello status di extracomunitario, Emerton non ottiene quel permesso di lavoro del quale tante volte abbiamo parlato, costringendo il club a rinunciare al suo acquisto. Kewell, invece, si trova la strada spianata grazie alla nazionalità inglese acquisita per ius sanguinis dal padre.

La classe e il talento di Kewell sono così palesi che già a 17 anni esordisce in prima squadra e, dopo pochi mesi, anche nella Nazionale maggiore australiana. Un anno e mezzo dopo, a 19 anni da poco compiuti, arriverà anche il primo gol col Leeds, in una gara di League Cup. Da qui inizia stabilmente a orbitare tra i grandi. In un gruppo che, trascinato dall’esuberanza di un gruppo di giovani terribili e da una difesa di ferro, nel 99/00 arriva fino a una clamorosa semifinale di UEFA contro il Galatasaray. Un confronto, purtroppo, ricordato soprattutto per la morte di due tifosi inglesi in Turchia in occasione della gara d’andata.

Che non sia un fuoco di paglia lo dimostra la stagione successiva. Affiancato al connazionale Mark Viduka, Kewell incanta i suoi tifosi e aiuta la squadra a galoppare in Premier. Soprattutto, però, è in prima linea per la conquista della seconda semifinale europea di fila. Questa volta, però, si parla di Champions League, e il cammino si interrompe solo contro il Valencia di Hector Cuper che poi capitolerà in Finale contro il Bayern Monaco ai rigori.

 

L’addio al Leeds e il passaggio a Liverpool

Senz’altro, il punto più alto di una belle époque destinata a finire in rovina. La bellezza di quel Leeds si dissolve nel giro di pochi anni, travolta dai problemi economici nonostante la cessione a peso d’oro di tutti i pezzi pregiati.

È il preambolo di una lenta discesa verso l’inferno delle serie minori con tanto di fallimento e successiva risalita. Kewell lascia una barca in procinto di affondare nel 2003, e lo fa rilasciando dichiarazioni al veleno. Non risparmia nessuno, dalla società al tecnico, fino ad attaccare addirittura alcuni suoi ormai ex compagni. Approderà al Liverpool, che la spunterà su Milan, Barcellona e le tre big inglesi Manchester United, Arsenal e Chelsea.

Il talentuoso numero 10, però, vivrà la parentesi in maglia Reds transitando frequentemente per l’infermeria, specie nella prima stagione, e conoscerà un momento di riscatto nella cavalcata verso la Champions del 2005. C’è anche il suo importante contributo nella vittoria finale, con un’ottima prestazione, nell’indimenticabile notte di Istanbul fatale al Milan.

Non sarà l’unica grande impresa della sua carriera. Nello stesso anno, anche grazie a un suo rigore nel decisivo spareggio contro l’Uruguay, la nazionale Aussie si qualifica al Mondiale del 2006, dopo un’assenza di 32 anni. E sarà ancora una sua rete, contro la Croazia, a essere decisiva nell’ultima partita del girone della rassegna iridata. La zampata del 2-2 finale, infatti, vale ai socceroos il passaggio agli ottavi, punto finale dell’esperienza tedesca grazie al rigore a tempo scaduto firmato da Totti.

 

L’avvio al finale di carriera e il ritorno a casa

Kewell rimane al Liverpool fino all’estate del 2008. Gioca sempre piuttosto a sprazzi per via di numerosi acciacchi fisici che non gli hanno quasi mai permesso di essere al 100% in tutta la sua avventura ad Anfield Road. Nonostante numerose offerte dall’Italia, Roma e Juventus su tutte, a sorpresa decide di andare in Turchia, al Galatasaray. Sarà un triennio, al netto di un buon profitto personale, avaro di vittorie di squadra. Al termine del suo contratto, a 33 anni, Kewell decide di far ritorno in patria.

Lo accoglie il Melbourne Victory, ma dopo una sola stagione decide di far ritorno in Europa per problemi familiari. Rimane fermo quasi un anno, disputa appena 3 gare con l’Al-Gharafa in Qatar e torna nuovamente a Melbourne, ma agli Heart, fortemente voluto dal suo ex compagno di nazionale John Aloisi. Al quale però, per colpa di un fisico martoriato dagli infortuni, non sarà di grande aiuto, ritirandosi a fine stagione.

 

Ciò che Kewell è stato, e ciò che avrebbe potuto essere

Non si vincono tre titoli di giocatore dell’anno d’Oceania se non si dispone di una gran dote di talento. E Kewell ne ha avuto da vendere, ma è stato troppo spesso fermato da fastidiosi infortuni che gli sono costati, di fatto, una carriera da autentico top player.
Esterno mancino di centrocampo, posizione rivestita nei primi anni a Leeds, ma anche trequartista. Oppure attaccante esterno in un 4-3-3, o persino seconda punta accanto a un centravanti potente, come accaduto con Mark Viduka. Sinistro fatato, tecnica individuale rara alle sue latitudini, con l’aggiunta di un dribbling ubriacante e un’eccezionale dote balistica sui calci piazzati. Tutto questo è Harry Kewell. O meglio, ciò che potenzialmente avrebbe potuto mostrare al mondo il 10 australiano. Del quale, senza la sfortuna a mettersi di traverso, probabilmente oggi si parlerebbe molto di più.

 

 

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