

“Un, dos-tres, cuatro. Un, dos-tres, cuatro. Un, dos-tres, cuatro”.
Il tango, nella sua versione tradizionale, è un ballo fortemente cadenzato. Ad un passo breve, ne seguono due veloci, tali che la somma della lunghezza di questi ultimi sia uguale al primo, e poi nuovamente uno lento. Lento, veloce-veloce, lento. Continue accelerazioni e decelerazioni.
Nato in Argentina come ballo passionale, quasi violento, si è affinato (e raffinato) in Uruguay, sotto la spinta dell’influenza europea e francese. Si esprime tramite una lingua tutta sua, il lunfardo, che è una fusione tra lo spagnolo ed alcuni dialetti italiani portati in Sud America dagli emigrati di fine ‘800, con influenze inglesi, francesi e portoghesi.
E non poteva che nascere qui, nella terra del tango uruguayo, nel 1976, el Chino, Alvaro Recoba.
Passo lento, cadenzato, apparentemente svogliato, ed all’improvviso grande scatto in velocità ad eludere la difesa avversaria, e spazio al colpo di genio. Una lingua strana, a molti incompresa, ma che solo chi ci sa fare con la palla tra i piedi può insegnare. È così che da un’azione apparentemente monotona nascono le giocate fuori da ogni schema, quelle che ci fanno innamorare del futbol, per dirla alla spagnola.
Ne sanno qualcosa i tifosi che, nel 1997, assistettero dagli spalti del Gran Parque Central alla partita tra Nacional de Montevideo e Wanderers: Recoba parte palla al piede dalla propria mediana, scarta tutti gli avversari che incontra sulla sua strada, portiere incluso, e mette in rete. Qualcuno lo paragona al gol di Maradona contro l’Inghilterra al Mondiale 1986, ma ci sono due sostanziali differenze: la prima è che el Chino, a differenza di Diego, taglia trasversalmente il campo, da destra a sinistra, mentre la seconda riguarda la conclusione a rete, con il marchio di fabbrica dell’uruguayano.
Il sinistro.
Qualcuno dirà che tra i difensori dell’Inghilterra e quelli del campionato uruguayano c’è una grande differenza qualitativa. Innegabile, ma provateci voi a fare una giocata del genere in un campionato dove i difensori, tradizionalmente, decidono se fare passare la palla o il piede, ma mai tutti e due contemporaneamente.
Paolo Montero docet.
Non si sa come, il video di quella partita viene recapitato alla storica, vecchia sede dell’Inter, quella di Via Durini. E, tra i primi a visualizzare la videocassetta, ci sarà Massimo Moratti, che negli anni successivi sarà considerabile alla stregua di un padre putativo per Alvaro.
Il presidente si innamora di questo ragazzo non in formissima, ma estremamente veloce e pungente, dagli occhi leggermente a mandorla: in un’estate ricca di investimenti, il Sud America fa da padrone in casa Inter: firmano l’argentino Simeone, i brasiliani Zé Elias e Ronaldo e, per 7 miliardi di lire, il ventunenne Recoba del Nacional.
Che, ad onor del vero, non parte propriamente tra le luci della ribalta, ma se le guadagna alla prima partita.
In Inter – Brescia del 31 Agosto 1997, el Chino è in panchina. Titolari del tandem offensivo sono Ronaldo, atteso da un Meazza quasi tutto esaurito, e Ganz. Quest’ultimo, però, non convince, e un mister Simoni che è già da tempo sottoposto alla gogna dai tifosi interisti, provati da anni di proclami della dirigenza sui titoli da vincere prontamente disattesi, se non per due Coppe UEFA vinte (da sottolineare come all’epoca, con le italiane dominatrici in campo europeo, il trofeo era ritenuto del tutto secondario rispetto agli altri obiettivi stagionali), si gioca la carta Recoba a 18 minuti dalla fine. Qualche mugugno si solleva dalla tribuna, e si moltiplicano un minuto dopo con la rete di Hübner. Inter 0, Brescia 1.
Ciò che succede nei minuti successivi lo lasciamo alle immagini TV (dal minuto 1.38 in poi del video seguente)
Una staffilata dai 25 metri prima, una punizione dai 35 poi. Cervone guarda incredulo, Inter 2, Brescia 1. È nata una stella, Simoni è salvo.
Nei mesi successivi, a fianco di Ronaldo si alternano numerosi attaccanti. Simoni può vantare un reparto avanzato di tutto rispetto: il già citato Ganz, l’intramontabile Branca, il nigeriano Kanu, Zamorano e all’occasione anche Djorkaeff e Moriero. Gli spazi, per Recoba, sembrano ridotti al lumicino. Pochi minuti, prima del 25 Gennaio 1998. Ultima di andata, si gioca al Castellani di Empoli.
Ancora una volta, Inter sotto. Dopo 3 minuti, sblocca Carmine Esposito. Oscuri presagi si affollano nelle menti dei tifosi nerazzurri, con i padroni di casa che sfiorano addirittura il raddoppio in più occasioni. Simoni le tenta tutte: fuori Branca, dentro Zamorano; out Djorkaeff, spazio alla spinta di Milanese sulla fascia. Per il forcing finale, il tecnico si gioca la carta della terza punta, inserendo Recoba per Moriero, schierato in questa partita da esterno di fascia.
Il giovane uruguayano, dalla panchina, ha osservato per lungo tempo la posizione di Roccati, sempre molto avanzato rispetto alla linea di porta. Così, al 37′ della ripresa, prova dai 50 metri, poco oltre la riga di centrocampo.
L’esito? Giudicatelo voi…
Le tre, spettacolari reti, che si sommano all’affetto incondizionato di Massimo Moratti, non bastano a garantirgli un posto da titolare. In tutto, nel girone d’andata, ha giocato tre volte, tutte da subentrato, sommando poco più di 45 minuti. E nel girone di ritorno, dopo l’ingresso in campo a Brescia e l’illusoria partita da titolare in casa col Bologna (persa per 1-0 con gol di Paramatti), il campo non lo vede proprio. In gruppo è amatissimo, ma si vocifera che in allenamento fosse tutt’altro che uno stakanovista…
È cosi che, per rivederlo in campo, bisognerà attendere la terz’ultima di campionato: altri due spezzoni di gara contro Piacenza e Bari e l’ultima, da titolare, al Meazza con l’Empoli.
Nella stagione successiva, gli spazi per Recoba si riducono ancora di più: è vero che Branca si ritira dal calcio giocato, in più Ganz se ne è già andato a Gennaio, ai cugini milanisti, Kanu lo seguirà ad Ottobre, in direzione Arsenal, ma in compenso arrivano il totem Roberto Baggio, reduce da una stagione strepitosa a Bologna, e il giovane Ventola del Bari. Ed entrambi, nelle gerarchie di Simoni, precedono El Chino. Appena 22 minuti a Firenze, fino alla sosta natalizia.
Beppe Marotta, ds del Venezia, prova a contattare Sandro Mazzola, che riveste lo stesso ruolo all’Inter. Chiede di quel ragazzo uruguagio, confinato tra panchina e tribuna. Il presidente degli arancioneroverdi Zamparini, coadiuvato da mister Novellino (la stessa coppia oggi presente a Palermo) avallano l’operazione, e Alvaro Recoba sbarca, è proprio il caso di dirlo, in Laguna.
6 mesi spettacolari, 19 presenze, tutte da titolare, e ben 11 reti. Il Venezia risale dalla zona retrocessione all’undicesimo posto, ad un passo dall’Intertoto. E battendo proprio l’Inter, alla penultima, al Penzo. Senza segnare, ma illuminando la scena.
La stagione 98/99 dell’Inter è stata pressappoco fallimentare: ben 4 tecnici in panchina, l’Europa sfuggita nello spareggio contro il Bologna, riservato alle semifinaliste di UEFA qualora entrambe le finaliste fossero già qualificate per una competizione europea (Fiorentina e Parma approdarono direttamente in Champions). Per cui per la stagione 99/00 è necessario ripartire da zero. Marcello Lippi in panchina, ma soprattutto, per 69 miliardi più il cartellino di Simeone (valutato 21 miliardi), approda a Milano Christian Vieri, accompagnato dagli acquisti di Peruzzi, pupillo di Lippi, tra i pali, i difensori Panucci e Blanc, Jugovic e Di Biagio a centrocampo. Nel settore avanzato, oltre al già citato Vieri, non può non essere considerato il rientro di Recoba. Che, però, dopo metà campionato esplosivo a Venezia, rientra col solito, lento, apparentemente svogliato, passo cadenzato.
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