

Una storia di colonialismo, razzismo e riscatto sociale. Luciano e Italo Vassallo, figli di un soldato italiano e di una donna eritrea, sono riusciti a emergere da una vita di sofferenze tramite il calcio. Anche e soprattutto grazie alla vittoria della Coppa d’Africa 1962.
La nascita dei Vassallo, tra colonizzazione e abbandono
Corre l’anno 1934 quando gli scontri di Ual Ual, località al confine tra la Somalia Italiana e l’Etiopia, forniscono al governo Mussolini il pretesto per formulare una dichiarazione di guerra a quest’ultimo paese, già da tempo obiettivo della campagna coloniale fascista. In attesa di sferrare l’attacco le truppe sono stanziate ad Asmara, capitale dell’Eritrea, già da tempo possedimento italiano. È qui che Vittorio Vassallo, bersagliere toscano, conosce Mebrak, indigena locale. Dal loro rapporto, il 15 Agosto del 1935, nasce Luciano.
Poco meno di un anno dopo, il 5 Maggio 1936, l’esercito italiano entra trionfalmente ad Addis Abeba, sede di governo etiope. Una battaglia fatta di lunghe lotte, con l’ausilio di gas e aggressivi chimici, particolare che sarà scoperto solo diversi anni dopo. Dal celeberrimo balcone di Piazza Venezia, il 9 Maggio, Mussolini proclama la nascita dell’Impero coloniale dell’Africa Orientale.
Mebrak ha giusto il tempo di dare alla luce un altro figlio, Italo, nato nel 1940. Poco prima che gli inglesi attacchino i territori oggetto di dominio italiano, in collaborazione con parte della popolazione del luogo e, soprattutto, il destituito imperatore Selassié. La vittoria britannica, datata 1941, costringe alla fuga l’esercito italiano. Se in Etiopia viene ripristinato lo status quo ante, in Eritrea la situazione politica è tutta da delineare. Ma ne parleremo dopo.
Tra calcio e… doppio razzismo
Per i fratelli Vassallo, cresciuti dalla sola madre, si apre uno scenario a dir poco inquietante. La famiglia vive tra stenti e povertà e, se tutto ciò non bastasse, i due fratelli sono oggetto di razzismo a casa del colore meticcio della loro pelle. Il frutto dell’unione tra un uomo bianco e una donna di colore, infatti, è osteggiato sia dagli europei rimasti in loco, sia dalla popolazione autoctona. Per fortuna, però, c’è il calcio.
Ambo i fratelli se la cavano egregiamente con il pallone e a soli 15 anni Luciano trova spazio tra le fila della Stella Asmarina, squadra composta da soli meticci. Ad Asmara, infatti, le squadre vengono formate sulla base del gruppo etnico dei giocatori. Uno smacco al quale si può resistere con la forte passione per lo sport, ma che successivamente porta a forme e misure di scherno difficilmente accettabili.
Nei primi anni ’50, infatti, il governo centrale sceglie di predeterminare dall’alto i colori delle maglie delle singole squadre. E per ricordare ai giocatori le loro origini, alla Stella vengono attribuiti d’ufficio i colori bianconeri. Troppo per Luciano Vassallo, che decide di mollare il calcio per dedicarsi al solo lavoro meccanico nelle officine della Ferrovia. Ma cambierà idea in fretta, per fortuna.
L’impero etiope e l’impresa di Bikila
Nel 1952 l’annoso problema della qualificazione geostorica dell’Eritrea si risolve con la federazione del territorio all’Impero etiope, pur mantenendo una certa autonomia. Le federazioni calcistiche dei due paesi si fondono, dando vita a un unico campionato e, soprattutto, a un’unica nazionale.
Il diciassettenne Luciano trova subito posto nella nuova Etiopia, esordendo nel 1953. Si tratta del medesimo anno in cui si trasferisce al Gaggiret, altra compagine di meticci, nella quale militerà fino al 1958. Anno in cui Vassallo senior si trasferisce all’Asmara, squadra di estrazione italiana nella quale si afferma, definitivamente, nel ruolo di centrocampista centrale. Nello stesso periodo tra le fila dell’Hamasien, altra squadra asmarina, esordisce da prima punta il più giovane Italo. Sarà lui, nel 1957 e prima del fratello, ad aggiudicarsi il titolo di campione d’Etiopia.
In Italia, nel frattempo, i giochi di Roma del 1960 certificano che le ferite di guerra sono state curate. Ha inizio quella fase di transizione che, col boom economico, porterà la nostra nazione ad essere una superpotenza mondiale. Eppure, paradossalmente, nella maratona accade l’imponderabile. A vincere, infatti, è un atleta etiope che sorprende il mondo correndo i 42 chilometri e 190 metri senza scarpe. Il suo nome è Abebe Bikila, guardia del corpo personale di Selassié, che lo omaggerà una volta tornato in patria.
I Vassallo, il meticciato e l’ingerenza politica
Sulle ali dell’entusiasmo, con una mossa simile a quanto accaduto trent’anni prima in Europa, l’imperatore cerca di accrescere il proprio successo avvalendosi dello sport. L’Etiopia ottiene l’onere e l’onore di ospitare la terza edizione della Coppa d’Africa di calcio, prevista per il 1962.
Nello stesso anno i fratelli Vassallo lasciano Asmara stabilendosi in Etiopia, nella città di Dire Daua. Il motivo del trasferimento è legato all’assunzione di entrambi presso le piantagioni di cotone della città, con uno stipendio da capogiro: 630 dollari al mese contro i 40 normalmente percepiti da un operaio locale. Alle spalle, non può non esserci il calcio. Il Cotton FC, nome non casuale, sta costruendo una squadra destinata a vincere 4 campionati in 6 anni.
La vigilia della Coppa d’Africa è tutt’altro che serena nello spogliatoio etiope. Luciano viene alle mani con un compagno di nazionale, reo di averlo apostrofato come meticcio, e proprio per il suo colore della pelle viene osteggiato dai vertici federali. Le ingerenze politiche limitano (e non poco) l’operato del commissario tecnico Milosevic, al quale viene intimato di non assegnare la fascia di capitano al numero 10 italo-etiope, recordman di presenze tra i convocati. Saranno gli stessi compagni a ribellarsi, facendosi scudo del proprio condottiero sul campo. E anche qui c’è una probabile motivazione ideologica. 9 titolari su 11 di quella nazionale provengono dall’Eritrea, due sono fratelli. Già, perché questa volta tocca anche ad Italo.
La vittoria, il riscatto sociale, i postumi della caduta dell’Impero
La manifestazione sarà un successo. Allo stadio Selassié – facile indovinare la persona alla quale è intitolato l’impianto – l’Etiopia, qualificata di diritto, stupisce l’intero continente. Prima batte la Tunisia per 4-2, in rimonta dallo 0-2 iniziale, con doppietta di Luciano. Stesso risultato raggiunto in finale, ma dopo i tempi supplementari, contro l’Egitto. Luciano acciuffa il 2-2 al minuto 84, Italo chiude il match all’undicesimo dell’extratime, prima della rete di Worku.
È giunta, finalmente, l’ora del riscatto sociale dei fratelli Vassallo. O almeno, se non altro, dell’accettazione da parte dei connazionali, che trovano nel calcio un pretesto per il quale vantarsi. Un’impresa che porta Luciano Vassallo a ritirare direttamente dalle mani dell’imperatore la Coppa. Del quale si narra, nel frattempo, sia diventato quasi un prediletto. Per molti, però, si tratta di un’operazione puramente politica, tesa a ingraziarsi anche quella parte di popolazione tendenzialmente sottomessa a causa del colore troppo chiaro della pelle.
I due consanguinei continueranno a giocare al Cotton FC fino al ritiro di entrambi, datato 1973. Luciano avrà anche l’onore di allenare la nazionale per tre volte, nel 1970, nel 1974 e nel 1978. L’ultimo incarico, però, durerà pochi mesi. I tumulti interni all’Etiopia portano alla caduta di Selassié, con l’avvento al potere di Menghistu Hailé Mariam, nuovo dittatore. Il CT sarà accusato di connivenza con il precedente regime e costretto alla fuga, prima al Cairo e poi nel Lazio, dove si stabilizzerà. Anche Italo, per evitare ripercussioni, fugge in direzione Asmara, luogo in cui vive tuttora.
Con il regime di Mengistu la famiglia Vassallo perde tutto ciò che si era guadagnato con fatica. Non solo a livello sociale, ma anche economico: tutte le proprietà vengono sequestrate dal governo, in molte case demolite. I due fratelli si rivedranno, ad Asmara, solo nei primi anni 2000: Luciano, infatti, non tornerà mai più ad Addis Abeba.