

La prima, e finora unica, Italia vincente. L’Europeo 1968, giocato tra le mura amiche, vede finalmente gli azzurri protagonisti dopo la rinuncia del 1960 e la mancata qualificazione del 1964. E, nel successo finale, ha il suo peso anche la sorte: la semifinale contro l’URSS è decisa dal lancio della monetina…
Le qualificazioni all’Europeo 1968
Gli Europei del 1968 possono essere ricordati come quelli in cui l’Italia, tra tutte le edizioni, si è resa maggiormente protagonista. Infatti essa fu organizzatrice della fase finale e vincitrice per la prima e tuttora unica volta del trofeo continentale.
Ma procediamo con ordine. A differenza delle due edizioni precedenti, per stabilire le quattro nazionali che avrebbero partecipato alla fase finale si disputò un primo round di qualificazione a gironi. L’Italia dominò il proprio, avendo senza problemi la meglio su Romania, Svizzera e Cipro. Le otto squadre vincitrici dei gironi dovettero poi affrontare come ultimo scoglio per la qualificazione un turno a eliminazione diretta con partite di andata e ritorno.
Agli azzurri, guidati dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi, toccò come avversaria la Bulgaria. Una squadra che era stata in grado di vincere il proprio raggruppamento davanti al Portogallo, terzo ai Mondiali due anni prima, e alla Svezia, che contava due piazzamenti sul podio nelle rassegne mondiali nel dopoguerra.
La partita di andata, giocata a Sofia, fu favorevole ai padroni di casa che si imposero per 3-2, anche a causa degli infortuni nel corso del match di Picchi e del portiere Albertosi. A Napoli, due settimane dopo, l’Italia andò in rete con Pierino Prati, al secondo gol in due presenze in azzurro, e Domenghini. I bulgari, invece, non riuscirono a violare la porta di un altro debuttante in azzurro, Dino Zoff. Il verdetto venne così ribaltato e, per la prima volta, l’Italia entrò tra le migliori quattro d’Europa.
L’Europeo 1968: Il campionato Europeo delle Nazioni
Il Campionato Europeo delle Nazioni, come venne denominato a partire da questa edizione, si annunciava più combattuto e di miglior livello rispetto alle edizioni precedenti. Le altre qualificate furono infatti l’Inghilterra, campione del mondo in carica, l’URSS, che aveva disputato entrambe le finali del torneo giocate in precedenza, e la temibile Jugoslavia. L’organizzazione, come già accennato, fu assegnata all’Italia. Alla nazionale di Valcareggi il sorteggio riservò l’Unione Sovietica, da affrontare il 5 giugno nello stesso stadio in cui gli azzurri avevano conquistato l’accesso alla fase finale: il San Paolo.
L’incontro ebbe inizio sotto una fitta pioggia. Il reparto offensivo italiano si dimostrò in difficoltà da subito: Rivera non riusciva a esprimersi ai suoi livelli a causa di un infortunio rimediato nelle prime fasi della partita, Mazzola appariva spento, solo Prati tentava qualche incursione. Per gran parte del primo tempo furono i sovietici ad attaccare, a tratti dominando, ma la retroguardia italiana riuscì ad arginare degnamente le sferzate degli avversari. Solo nella ripresa l’Italia spezzò il predominio dell’URSS, presentandosi davanti alla porta avversaria con Prati ma senza trovare la rete. Anche i tentativi avversari non sortirono alcun effetto, e fu necessario disputare i tempi supplementari, durante i quali a tre minuti dalla fine Domenghini ebbe a disposizione la palla che avrebbe potuto valere la finale. Il tiro supera il portiere avversario, ma colpisce il palo.
L’incubo monetina
Anche i tempi supplementari si conclusero sullo 0-0. Non esistevano ancora i calci di rigore per determinare il vincitore di una partita, per cui solitamente si provvedeva a disputare una gara di spareggio. Una situazione già occorsa nelle qualificazioni degli Europei precedenti: nel 1964 Lussemburgo e Danimarca, infatti, si giocarono l’accesso alle semifinali in una terza gara dopo la sfida di andata e ritorno.
Nelle fasi finali degli Europei, però, fino ad allora non era mai stato necessario andare oltre i 120 minuti. E allora? Il regolamento della manifestazione contemplava che a determinare la vincitrice dovesse essere… la sorte. Il lancio di una monetina.
I due capitani rientrarono negli spogliatoi assieme all’arbitro, mentre i restanti giocatori aspettarono in campo il verdetto, attorniati da una folla impietrita. La tensione dei giocatori azzurri era però placata dalla fiducia che nutrivano nel capitano, Giacinto Facchetti, che aveva la fama di essere fortunato. E fu proprio lui, uscendo dagli spogliatoi pochi minuti più tardi, ad annunciare la vittoria ai propri compagni e al pubblico, che esplose di gioia.
La doppia finale contro la Jugoslavia
Tre giorni più tardi, all’Olimpico di Roma, a contendere il titolo all’Italia sarebbe stata la temibile Jugoslavia, che aveva sconfitto gli inglesi a Firenze. Una squadra forte fisicamente con una superba ala sinistra, Dragan Džajic, che fu a stento marcato da Burgnich. Proprio Džajic portò in vantaggio la sua squadra, che cercò a lungo il raddoppio, evitato dalle parate provvidenziali di Zoff. A dieci minuti dalla fine, una punizione calciata non in maniera perfetta da Domenghini dal limite dell’area passò sotto le gambe di un giocatore in barriera e finì in rete. Risultato in parità, che resterà tale anche al termine dei supplementari.
Per determinare il vincitore del torneo però non ci si può affidare al lancio di una moneta: la partita si ripete. Due giorni dopo, il 10 giugno, mentre la Jugoslavia si presentò in campo con una sola sostituzione rispetto alla prima finale, Valcareggi ne effettuò ben cinque.
La mossa risultò decisiva. Dopo 31 minuti l’Italia era già sopra due a zero grazie alla rete di Riva e alla splendida girata di Anastasi; la reazione jugoslava, tenue, non portò frutti. Intanto lo stadio si illuminava delle fiamme delle fiaccole accese dai tifosi entusiasti che non aspettavano altro che il fischio finale. L’Italia, dopo 30 anni, torna a trionfare in una competizione internazionale.
Dove la metto la monetina?
La monetina dà, la monetina toglie. Ai Giochi Olimpici del 1960, infatti, il lancio era costato caro proprio all’Italia. In quel caso la Dea Bendata baciò la Jugoslavia, poi vincitrice battendo la Danimarca. Ancora alle Olimpiadi, nel 1968, la monetina fu necessaria in un quarto di finale per decidere chi tra Bulgaria e Israele avrebbe avuto la meglio, con il successo dei primi.
E se l’introduzione dei calci di rigore ha reso obsoleto questo metodo di discernimento, questo rimane ancora l’extrema ratio in casi particolari. Lo sanno bene i tifosi del Mali: nel girone D della Coppa d’Africa 2015, la loro nazionale finì appaiata alla Guinea, nel vero e proprio senso della parola. Tutte le partite giocate da entrambe le squadre si erano concluse col risultato di 1-1. Stessi punti, scontro diretto terminato in parità, stessa differenza reti, stessi gol fatti. E la sorte, giusta o ingiusta che sia, è l’unico arbitro che può essere interpellato, in casi come questi. E, in questo caso, sorrise alla Guinea.