

Mai, come quest’anno, gli occhi dei tifosi italiani si sono concentrati sulla Premier League, e sull’impresa costruita dal Leicester, capace di vincere per la prima volta in assoluto il massimo campionato inglese.
Risuona anacronistico, al giorno d’oggi, vedere una squadra promossa appena due anni fa, dopo diversi anni d’assenza dalla massima serie, vincere il campionato. E perlopiù se nella stagione scorsa la squadra lottava per non retrocedere in quella che è la competizione calcistica con il maggior fatturato complessivo in assoluto, che attira tifosi in tutto il mondo.
Non è un caso che le attenzioni dei tycoon stranieri si concentri sempre di più sulla Premier: oggi, tra i 20 club che stanno partecipando alla massima serie inglese, solo 9 sono di proprietà britannica, mentre tra i restanti undici spopolano gli americani, che detengono il pacchetto maggioranza di ben 4 squadre (Aston Villa, Liverpool, Manchester United e Sunderland), 2 società sono in mano ai russi (Bournemouth e Chelsea) e 2 sono miste (l’Arsenal ha tre owner, uno russo, uno americano ed un iraniano, mentre al Southampton la proprietà è svizzero-canadese). Singola rappresentanza per il nostro paese, con il Watford dei Pozzo, per gli Emirati Arabi Uniti (lo sceicco Mansour del City) e per la Thailandia, che tramite la Asian Football Investments ha il 100% del Leicester.
Il presidente, Vichai Srivaddhanaprabha, con un patrimonio stimato in 1,9 miliardi di sterline (al cambio, quasi 2 miliardi e mezzo di euro), è il nono presidente della categoria per ricchezza: cifre da capogiro rispetto alla Serie A, che non a caso hanno permesso al club di offrire ingaggi sontuosi ai giocatori. Oggi, la stella Jamie Vardy percepisce uno stipendio di poco superiore ai 5 milioni di euro, mentre l’ingaggio di Gokhan Inler, acquistato la scorsa estate e praticamente mai utilizzato, chiuso dagli stratosferici Drinkwater e Kantè, ammonta a 3,5 milioni. Tra i meno pagati, il terzo portiere Hamer, il cui salario sfiora il milione.
Se il Leicester disputasse il campionato italiano, sarebbe il quinto club per stipendi elargiti ai giocatori, alle spalle di Juve, Inter, Roma e Napoli e davanti a Lazio e Fiorentina. Hamer, invece, sarebbe il calciatore più pagato in ben sei club.
Certo, il termine di paragone mal si presta ad essere indicativo: in Inghilterra, per fare un esempio, i proventi dei diritti TV per i club sono di gran lunga maggiori rispetto all’Italia, e più equamente redistribuiti. Da ciò consegue una maggior possibilità di spendere anche per i piccoli club: squadre come lo Swansea, tra le più povere, possono permettersi colpi di mercato a doppia cifra milionaria, cosa impensabile nel calcio nostrano per i Carpi e Frosinone di turno.
Lungi da me screditare il risultato raggiunto da mister Ranieri e dai suoi giocatori, in prima pagina di tutti i quotidiani inglesi e non: gran parte dei giocatori del club, solo ad inizio anno, erano poco più che sconosciuti al grande pubblico, a differenza dei grandi nomi di squadre come Chelsea, Arsenal, Liverpool e le due squadre di Manchester, o anche solo del Tottenham, altra sorpresa, ma neanche troppo inaspettata, del campionato.
Ma, allo stesso tempo, nelle ultime due stagioni, il Leicester ha dimostrato di avere un grandissimo potere d’acquisto: l’anno scorso, il Cuchu Cambiasso, pur dopo grandi titubanze, firmò un contratto annuale da 2,7 milioni netti all’anno con bonus, facilmente raggiungibili, a salire fino a quasi 4 milioni di euro, cifra percepita all’Inter solo dopo in seguito al Triplete, mentre a Gennaio arrivò l’allora capocannoniere del campionato croato Kramaric, inseguito da mezza Europa, tra cui le italiane Juventus e Fiorentina, per circa 13 milioni di euro.
Lo stesso Kantè, punto nevralgico del centrocampo delle Foxes, è stato strappato al Caen per 9 milioni di euro: non certo noccioline!
L’attuale e trionfale stagione, semmai, ha visto emergere un collettivo che sembrava avere scarse speranze, sospinto dall’eterna promessa Kasper Schmeichel, vissuto per troppi anni all’ombra del padre, dalla coppia difensiva formata da Huth (anche lui ad un passo dal finire nella categoria delle promesse sfumate dopo l’esperienza giovanile al Chelsea) e Morgan, decisivo nell’ultima partita di Manchester, da un centrocampo tutto muscoli e fosforo, dall’imprevedibilità di Mahrez e Okazaki e dal fiuto del gol di Vardy, guidato dalla sapiente regia di Ranieri, uno “troppo vecchio per vincere”, secondo un Mourinho del 2010 che ha dovuto gioco forza ricredersi, alla luce degli eventi.
È stata una rivincita per una città abituata a vincere nel rugby, ma ben poco nel calcio: appena tre Coppe di Lega, l’ultima delle quali nel 2000, ai tempi di un giovanissimo Emile Heskey in attacco e di Mustafa Izzet, poliedrico centrocampista che, nato e cresciuto in Inghilterra, giocò un Europeo e un Mondiale con la Turchia, grazie alle origini del padre, ma senza parlare una parola di turco, e una Supercoppa vinta per sbaglio nel 1971, a causa della rinuncia alla partecipazione dei campioni della massima serie, l’Arsenal, sostituiti dai vincitori dei quella che oggi è la Champioship, appunto il Leicester.
La vittoria, meritata, è frutto di grandi sacrifici, senza dubbio, e merita il clamore mediatico se non altro perché, comunque, il titolo è inaspettato.
Chiamatela impresa, chiamatelo sogno, o comunque volete. Ma per favore, non chiamatelo miracolo. I miracoli sono ben altri…