

Il Millwall è una storica formazione londinese che, nonostante i pochi campionati disputati nella massima serie, ha un nutrito numero di tifosi estremamente calorosi e con una chiara “filosofia di vita”.
Non piacciamo a nessuno, siamo del Millwall
Se non siete accomodanti, conformisti, politicamente corretti, se non cercate l’approvazione a tutti i costi e difendete il vostro modo di essere, le vostre idee e la vostra appartenenza, allora siete nel posto giusto: Millwall, perché noi, non piacciamo a nessuno.
Così si presenta al mondo la tifoseria calcistica dei leoni: sfacciata, strafottente, orgogliosa. E’ figlia di una storia che deve essere almeno ripercorsa per sommi capi, per cercare di comprenderne la radice e il contesto di certi atteggiamenti.
No one likes us, non piacciamo a nessuno, si diceva, and we don’t care, e nemmeno ci interessa.
No, non è un racconto di tifoserie, di violenza o di chissà quale impresa bellica, e nemmeno la storia calcistica vera e propria del club. È solo un tentativo di ricerca delle origini storiche di un modus vivendi che ha radici profonde e nelle quali, le scelte collettive e i nostri modelli sociali hanno probabilmente più di una qualche responsabilità.
Il contesto del Millwall e l’Isola dei Cani
Siamo in questa zona ad est di Londra dove il Tamigi crea una grande curva, delimitando un’area chiamata “Isola dei cani”. La leggenda narra che qui, Enrico VIII, agli inizi del 1500, tenesse i suoi cani da caccia. Nessuno sa per certo se questa sia la vera origine del nome.
Di sicuro invece abbiamo i segni della presenza dei mulini, ben sette – da Mill, mulino – e di un muro – wall – fatto di terra e pietre, già presente nel medioevo. Serviva per impedire che l’alta marea del fiume andasse a inondare l’area agricola dell’isola.
Con l’avvento del motore a vapore, i mulini vennero rimpiazzati e l’area puntò decisamente verso l’industrializzazione. Si rinforzarono gli argini per consentire l’attracco delle imbarcazioni, sorsero numerose fabbriche e l’area agricola si trasformò velocemente in zona di cantieri navali.
Quella metamorfosi portò ad un inevitabile e repentino cambiamento del tessuto sociale. Sovrappopolazione, casette in pietra rossa, operai e un’orda di opinabili seguaci del denaro pronti a tutto pur di arricchirsi o semplicemente sopravvivere. Affaristi, prostitute, gang, malviventi di ogni tipo, tutte categorie che contribuirono decisamente a trasformare la zona, un tempo agricola, in malfamata e poco adatta al passeggio.
In quegli anni, tra l’altro, nei paraggi si muoveva anche un personaggio a dir poco problematico, un killer seriale fissato con le squillo e divenuto celebre con il nome di Jack lo Squartatore.
La nascita del Millwall Rovers
Ecco, questo è il quadro. E in un contesto di questo tipo, nel 1885, un gruppo di operai di una fabbrica di cibo in scatola, la JT Morton, situata sull’ Isola dei Cani, fondò il Millwall Rovers.
Si cominciò a fare sul serio l’anno successivo. Il tutto avvenne alle spalle di un pub, il Lord Nelson, in un’area dedicata e denominata per l’appunto “Lord Nelson Ground”.
La radice del club era quindi decisamente popolare, quello stesso popolo che si trovava a fare i conti giornalmente con gli effetti collaterali più crudi dell’era industriale che lo aveva travolto. Lo sfruttamento, l’oppressione, il lavoro duro e spesso ripetitivo, e un sempre più nitido e crescente desiderio di rivalsa.
Qui cominciò probabilmente a delinearsi il profilo del tifoso del Millwall. Ma aggiungiamo qualche altro dettaglio.
La metamorfosi industriale
In quel momento storico, le navi cominciarono a diventare sempre più grandi e pesanti, e non poterono più attraccare in quella zona. Il declino dell’industria navale divenne pertanto repentino e la trasformazione settoriale dell’area fu inevitabile. Per una serie di motivi, si virò verso l’industria alimentare, chimica e ingegneristica.
Si narra di ribellioni, scioperi e alcune storie riconducono a quel periodo l’impennata della dura rivalità con i nemici storici e vicini di casa del West Ham. Questa formazione in origine si chiamava Thames Ironworks Football Club, fondata da Dave Taylor, uno dei capi squadra della Thames Ironworks and Shipbuilding Company.
Il tutto pare quindi partire da una rivalità tra aziende, una rivalità legata al mondo lavorativo. Forse è solo una parte di quanto realmente accaduto, non se ne hanno prove certe e schiaccianti.
Resta il fatto che Londra cominciò a presentare tutte le contraddizioni tipiche delle metropoli dai mille volti. Si passava dall’elegante City benestante e un po’ spocchiosa fino alle periferie popolari sovraffollate e piene di contraddizioni.
Vedere il Millwall diventò pertanto una vera e propria valvola di sfogo popolare. Era la liberazione emotiva da un mondo duro, opprimente. Era la ribellione verso la parte più borghese della società e tutto ciò che questa rappresentava.
Da quelle parti poi si parlava una lingua un po’ particolare, che veniva dal nord. Non sembrava il classico inglese. Molti degli abitanti di quelle casette senz’anima, fatte con i mattoni rossi, erano dockers, portuali scozzesi. La loro strana cadenza veniva derisa dagli appartenenti al ceto altolocato.
Li guardavano dall’alto in basso e li consideravano alla mercè degli ultimi della classe, gli emarginati di turno. Il desiderio di rivincita per i soprusi subiti cominciò ad avere le sembianze della rabbia. E la rabbia crescente divenne sempre più difficile da gestire.
Da Millwall Rovers a Millwall Athletic
Nel frattempo, nel 1889 il club si trasferì all’Athletic Ground e prese il nome di Millwall Athletic per poi spostarsi nuovamente un paio d’anni dopo a North Greenwich. Nel 1910 ci fu il passaggio a New Cross, nello stadio “tana”, il famoso “The Den” e questa rimarrà la casa del Millwall fino al 1993, anno in cui prenderà forma il “Nuovo The Den”, a Bermondsey.
Il club venne ammesso alla Football League nel 1920, anno in cui gareggerà in terza divisione. Salite e discese, continue, tra la seconda e la quarta categoria, divennero una consuetudine, ma per i sostenitori dei leoni questo non fece alcuna differenza. Il carro dei vincitori non era mai stato affar loro, non li rappresentava e non era importante quanto l’identità.
Nel 1943 lo stadio venne colpito dai bombardamenti e furono molti i volontari a rimetterlo in sesto. “Non piacciamo a nessuno, è vero, ma sappiamo chi siamo”.
In quel dondolio continuo di risultati, il club nato sulle sponde del Tamigi approdò finalmente in Premier League. Era il 1988 ed erano passati centotre anni dalla fondazione. L’avventura nella massima serie durò purtroppo solamente un paio d’anni.
L’addio alla Premier League e la piaga sociale
A seguito della riqualificazione della “London Docklands Development Corporation”, Millwall è oggi divenuta un pullulare di grattacieli e la sede di grandi centri finanziari. Ma rimanendo per un attimo sul Tamigi e cercando di delineare maggiormente il profilo del sostenitore del Millwall, abbiamo visto come l’industria abbia subito una metamorfosi settoriale verso la fine del 1800, mantenendo quella tendenza fino al 1970.
Ecco, l’inizio degli anni “settanta” fu un momento molto importante, la probabile linea di demarcazione che sancì l’avvento di cambiamenti socioculturali a seguito di una grossa recessione economica. Molte di quelle attività cominciarono a chiudere i battenti e la disoccupazione diventò una enorme piaga sociale.
Probabilmente queste informazioni sarebbero più che sufficienti per inquadrare il contesto nel quale gli abitanti di quella zona di Londra hanno formato il loro carattere. Ampliando un po’ gli orizzonti però, potremmo perfino spingerci a capire quanto il poco rispetto della dignità umana possa essere responsabile della deriva dei comportamenti collettivi.
Un fenomeno antico che prende forma
Negli anni “settanta” i problemi sociali già presenti, acutizzati dalla disoccupazione e dal consolidarsi di un fenomeno denominato hooligans, portarono all’esplosione di quella rabbia repressa. Non fu un problema solo del Millwall. Ma soprattutto lì, questa rabbia covava da tanto, torppo tempo.
Il caso delle tifoserie estreme, le firm inglesi, è noto in tutto il mondo, e rappresenta un fenomeno sfociato molte volte in gravi episodi di violenza, soprattutto – ma non solo – quando i Bushwackers del Millwall e gli Intercity firm del West Ham – probabilmente due tra le firm più turbolente d’Inghilterra – si trovavano di fronte.
Non è questa la sede per sviscerare quella profonda rivalità, ma non è un caso che due club nati nello stesso periodo, tra i dockers, i portuali, i cui stadi distano meno di dieci chilometri tra di loro e le cui tradizioni sono da ricercarsi nello stesso tessuto sociale popolare, abbiano un seguito tanto passionale quanto aggressivo.
Certo, di quel mondo non è stata solo la violenza a prendersi le prime pagine, perché si contano anche numerosi episodi di solidarietà, ma di certo l’aggressività è stata di gran lunga la componente che ha reso famose queste tifoserie.
Una cosa è certa: approdare al “The Den”, per i supporters avversari, ha sempre rappresentato una sorta di discesa all’inferno. Qui si fanno da sempre i conti con i comportamenti più estremi di intere generazioni di persone arrabbiate, probabilmente con il mondo intero e non solo con l’avversario in quanto tale.
“No one likes us, we don’t care”, divevamo, “non piacciamo a nessuno, non ci piace nessuno e non ce ne frega nulla” per dirla con eleganza. Forse, questa è solo l’altra faccia estrema della nostra società che, troppo spesso, ha messo l’uomo nella condizione di portare alla luce la parte più dura del suo essere, in un folle contesto di opinabili modelli di vita da seguire.