Jesper Gronkjaer, dalla Groenlandia al grande calcio

Gronkjaer esulta dopo la rete contro il Liverpool
Gronkjaer esulta dopo il gol segnato contro il Liverpool, decisivo per la qualificazione alla Champions (fonte: chelsea.com)

Il calcio, in Groenlandia, è lo sport nazionale.

O, per meglio dire, locale, in quanto non presenta i requisiti dello stato: è presente un territorio, ovvero la più vasta isola al mondo, coperta al 90% da ghiacci, anche un popolo, i circa 56 mila abitanti che vivono tra la capitale Nuuk e le altre città, sparse principalmente sulla fascia costiera del Sud-Ovest, e un governo, però vincolato alla dipendenza alla corona del Regno di Danimarca. Dalla quale, ad onor del vero, la Groenlandia non ha troppo interesse a staccarsi: l’isola, senza i circa 450 milioni di euro annui erogati da Copenhagen, difficilmente sarebbe economicamente autonoma, vivendo essenzialmente di pesca…

Dimenticate lo stereotipo di una popolazione costituita da eschimesi che vivono negli igloo: gli inuit, che costituiscono quasi il 90% degli abitanti nell’isola, mentre la parte restante è formata dai nativi danesi, sono passati da tempo alle moderne abitazioni, costruendo numerosi villaggi. E qui sono sorti i primi campi da calcio, tutti rigorosamente in terra battuta. L’erba naturale è una chimera: le città sono ricoperte da una spessa coltre di neve per almeno 9 mesi all’anno, e nei restanti tre le temperature salgono sopra lo zero termico per pochi giorni all’anno, in molti dei quali solamente per qualche ora. Soltanto recentemente sono sorti i primi campi in erba sintetica, nessuno dei quali, però, di misura regolamentare per la disputa di partite ufficiali.

Eppure, sono circa 5.000, attualmente, i calciatori groenlandesi, divisi nelle 77 squadre che giocano la Coca-Cola Greenlandic’s Men Football Championship, il campionato nazionale, che si disputa nei mesi estivi, in cui la rigidità meteorologica lascia spazio ad un clima più mite che permette agli isolani di abbandonare le palestre e il futsal indoor, praticato nel resto dell’anno con percentuali crescenti.

L’ultima fase, ad 8 squadre, si concentra in una settimana, giocando nella capitale Nuuk e, da quattro anni, è vinta dal B-67.

Le ragioni sopra elencate fanno sì che la nazionale della Groenlandia, diversamente dai cugini delle Far Oer, anch’essi sottoposti alla Danimarca, non può disputare le qualificazioni agli Europei o ai Mondiali: né la FIFA né l’UEFA ammettono federazioni che non abbiano campi in erba naturale, seppure recentemente vi è stata un’apertura verso il sintetico. Per questo motivo, l’unica nazionale nella quale possono giocare i calciatori locali è quella danese, e verso quest’ultima terra emigrano, giovanissimi, i talenti groenlandesi, in primis per poter giocare in maniera continuativa, nel corso dell’anno, a calcio.

Due sono i calciatori che, negli ultimi anni, si sono distinti per abilità. Se il primo, il terzino Niklas Kreutzmann, è arrivato fino alla seconda divisione danese con la maglia dell’Aarhus dopo aver giocato, per qualche anno, in patria, il secondo si è trasferito giovanissimo a Thisted, nel nord-est della Danimarca, per poi spiccare il volo verso altri lidi.

80 presenze nella nazionale biancorossa, coronate da 5 reti, giocando con le gloriose maglie di Ajax, Chelsea, Atletico Madrid e Stoccarda, prima di fare ritorno al Copenhagen, dove ha chiuso la carriera. Stiamo parlando di Jesper Gronkjaer (o meglio, Grønkjær).

Jesper nasce a Nuuk nel 1977. Inizia a giocare al calcio “per ragioni sociali”, come riferirà nelle interviste. “Mia madre voleva vedermi felice, e d’estate mi obbligava ad uscire da casa per giocare a calcio con gli altri bambini, vicino casa mia”. Il divertimento stagionale diventa passione, e il giovane inizia a giocare al chiuso, nei mesi invernali. Infatti, i lunghi e freddi inverni della Groenlandia non permettono di svagarsi all’aria aperta, per cui le uniche possibilità di giocare sono limitate all’indoor. Ed è qui che Gronkjaer inizia la scalata che, nel 1995, appena diciottenne, lo porterà ad esordire nel massimo campionato danese con la maglia dell’Aalborg, giocando quasi 100 partite, prima della partenza in direzione Ajax, fortemente voluto dal tecnico danese Morten Olsen, che aveva avuto modo di apprezzarlo in Superliga.

Due stagioni appena e arriva la chiamata della Premier League, il campionato più seguito in Groenlandia, tanto che il tifo, giovanile e non, si divide tra i club della Union Jack. Non in un club qualsiasi, ma nello storico Chelsea, seppure non ancora arricchito dai capitali russi.

Prima, però, l’Europeo del 2000, primo (e finora unico) giocatore della Groenlandia a disputare una competizione di tale importanza.

I quattro anni a Stamford Bridge sono pieni di soddisfazioni, su tutte il gol siglato contro il Liverpool nell’ultimo turno del campionato 2002/03. Grazie al sigillo di Gronkjaer, il Chelsea si qualifica in Champions, ed è una rete di fondamentale importanza per le sorti societarie. Infatti, la qualificazione per la massima competizione europea convince l’oligarca russo Roman Abramovich ad acquistare il club del quartiere londinese, investendo oltre un miliardo di sterline in 15 anni e portando, di fatto, la squadra tra i top club europei. Proprio per questo, il gol del talento venuto dal Nord sarà ricordato con l’eloquente nome di “1 Billion goal

L’avvento della nuova proprietà, tuttavia, porta al Chelsea fior fior di campioni: per Gronkjaer non c’è più posto, una stagione suddivisa tra Birmingham e l’Atletico Madrid (una squadra lontana da quella attuale come organico, ma con in rosa due protagonisti ancora in colchoneros, un giovane Fernando Torres e Diego Simeone, quasi a fine carriera), breve sosta in Germania, a Stoccarda, appena un anno, e poi Copenhagen dove, a 30 anni, vincerà il suo primo titolo nazionale in carriera, prima del ritiro datato 2011 e la recentissima esperienza amatoriale con il Græsrødderne, piccola squadra della capitale danese.

Due europei (2000 e 2004, tristemente ricordato dai nostri colori, con il sospetto biscotto proprio tra i danesi e i vicini di casa della Svezia, che ci estromise dalla competizione) e due mondiali (2002 e 2010), con il patentino da giramondo.

Ma quando parti da Nuuk, tutto è più facile.

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