

(di Davide Sarti)
La giornata del 23 maggio 2007, in realtà, è cominciata il 22.
Io e i miei amici abbiamo troppa voglia di vivere la partita assieme, e già dal martedì pomeriggio ci troviamo per far trascorrere il tempo più velocemente possibile.
La finale di Champions League per noi comincia alle 4 di mattina in aeroporto a Bologna. Ad aspettarci c’è un charter che ci porta ad Atene, dove arriviamo alle prime luci del mattino. Neanche il tempo di scendere e ci troviamo in una piazzetta a sorseggiare qualche gustoso cocktail o una birra. Sempre per stemperare la tensione. Perché due anni prima non è andata bene, e il ricordo è ancora fresco. E fa male.
Ci alziamo e cominciamo a girare per la città. È tutta rossa. Come il colore del Liverpool e dei suoi magnifici tifosi che invadono letteralmente ogni angolo, di ogni strada.
Noi per l’occasione abbiamo una maglietta nera rifinita di rosso. Il colpo d’occhio è notevole. Decidiamo di far sentire ad Atene chi siamo noi. E urliamo a squarciagola il nostro nome. Sfoggiamo tutto il nostro repertorio intonando tutti i cori che conosciamo e passeggiando riusciamo a coinvolgere qualche fratello rossonero che non resiste a stare in silenzio e ci segue. Il tempo passa e arriviamo in piazza Syntagma.
Un muro rosso. I temibili hooligans, lo spauracchio di tutti i media, sono lì ad attenderci. Ci vedono. Sanno benissimo chi siamo. Per farci capire chi comanda, decidono di lanciare il loro inno più famoso: “… Walk on through the wind, walk on through the rain, through your dreams be tossed and blown, walk on, walk on, with hope in your heart, and you’ll never walk alone…”.
Resistiamo alla tentazione di unirci. Le parole le sappiamo, fino a due anni prima anche nella nostra curva la cantavamo spesso. Ma dopo la notte di Istanbul, sarà una coincidenza, non l’ho quasi più sentita. Quindi ci limitiamo a guardare in silenzio e a goderci lo spettacolo. Pelle d’oca. Solo pelle d’oca.
Applaudiamo. Loro ci stringono la mano e quasi fraternizziamo con i nostri rivali. Facciamo anche delle foto insieme.
Comunichiamo con il nostro goffo inglese ma riusciamo a capirci. Ci scambiamo qualche aneddoto da tifoso. Trasferta europea più bella, stadio più spettacolare, tifosi più caldi, situazione del tifo nei nostri paesi e così via.
Ci salutiamo, e decidiamo di disturbare i giornalisti che trasmettono in diretta. Dall’Italia arrivano sms. Ci hanno visti a Studio Sport, siamo già famosi, nel nostro piccolo.
Il temporale del pomeriggio ci fa spaventare. Prendere l’acqua significherebbe stare un giorno intero in giro con i vestiti bagnati. Fortunatamente gli dei hanno rispetto della finale di Champions e un sole battente torna a splendere sopra il Partenone, davanti ai nostri occhi.
Finalmente, arriviamo allo stadio. Già senza voce. Perché in metropolitana, assieme ai nostri fratelli milanisti, abbiamo deciso di scaldare, fin troppo, le ugole. Prendiamo posto.
Finalmente escono i ragazzi che indossano la nostra maglia, quella bianca delle grandi occasioni. La tensione sale. Lo speaker legge le formazioni e prima del calcio d’inizio assistiamo di nuovo a un leggendario You’ll never walk alone. Ma questa è l’ultima volta. Ora tocca a loro starci a sentire.
Il tifo è incessante e la voce sempre più sottile. Sventoliamo le nostre bandiere, facciamo vedere le nostre sciarpe e agitiamo una grossa banana gonfiabile che abbiamo trovato fuori dallo stadio.
Pippo segna. E io quasi mi rompo una gamba per esultare. Pippo segna di nuovo. Questa volta rischio un braccio. Segnano loro. I fantasmi di Istanbul e di quella notte si fanno vivi. Ma, per loro, non è sempre domenica.
L’arbitro fischia, e inizia la festa. La nostra durerà fino alle 19 del giorno dopo, quando atterriamo a Bologna. Mentre percorriamo i corridoi affollati per uscire dall’aeroporto la gente ci guarda, quasi ci ammira. E hanno ragione. Questa coppa è nostra. Ci siamo fatti tanti chilometri in questa stagione. C’è chi è stato a Belgrado, chi a Glasgow, chi a Monaco, chi a Manchester. Noi ci sentiamo degli eroi. Noi siamo degli eroi. Noi abbiamo vinto.
E con quell’ultimo e sottilissimo filo di voce che abbiamo intoniamo l’ultimo coro della trasferta. “Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Europa siamo noi”.